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La storia della Sestese, le tre grandi imprese!

La storia della Sestese, le tre grandi imprese!

Come un trittico di Giotto, tre trofei di prestigio assoluto rendono scintillante la bacheca della Sestese. Ognuno con la propria storia, ognuno - ancora una volta - che è una somma delle storie personali e sportive di coloro che lo hanno conquistato. Dalla Coppa Italia della stagione 1988/89 passando per lo Scudetto Allievi Dilettanti nel 2005/06 e arrivando a quello Giovanissimi nel 2010/11: ne parliamo con i tre allenatori che li hanno conquistati, tre condottieri che sono, di diritto, nella hall of fame rossoblù.



Brunero Poggesi (Coppa Italia Dilettanti 1988-1989)


Scritto nelle stelle


Se è vero - e lo è - che la prima volta ha un sapore inconfondibile, la Coppa Italia Dilettanti conquistata nella stagione '88-'89 dalla Sestese dopo trent'anni conserva ancora un sapore unico. Il percorso che in poche annate portò i rossoblù dalla Seconda categoria fino alla Serie D passò attraverso l'ascensore di questa coppa, che avrà per sempre inciso il nome di Brunero Poggesi, il tecnico di quella squadra che, come vedremo, aveva un Dna la cui coppia elica si incrocia a meraviglia con il cuoio del pallone.



Iniziamo con un esercizio di memoria. Se le evoco la Calabria, cosa le viene in mente? Nello specifico, Catanzaro e Rossano Calabro.


'Sono due luoghi che mi ricordano altrettante battaglie sportive sul cammino che ci ha portato alla conquista della Coppa Italia. Contro il Catanzaro Lido strappammo un pareggio per uno a uno su di un campo sterrato in un clima infuocato; al ritorno il gol di Meloni ci regalò un passaggio del turno meritatissimo. A Rossano Calabro poi andò in scena una gara indimenticabile, davanti a qualche migliaio di persone, su di un terreno di gioco annaffiato fino a diventare fangoso dai vigili del fuoco, prima del match. Perdemmo uno a zero dominando il gioco, e al ritorno confermammo il nostro valore con un successo netto che ci portò alle finali e contestualmente ci dette la certezza della promozione in D'.


Riletta attraverso i sedimenti degli anni trascorsi, quella storica vittoria che sapore e soprattutto che valore ha acquisito nel tempo?


'A quell'epoca la Coppa Italia Dilettanti era aperta a formazioni di Promozione e Serie D; quando ripenso a quella vittoria mi rendo conto di quanto fu difficile conquistarla, non solo perché nelle finali battemmo due squadre di categoria superiore, ma anche perché arrivammo in fondo dopo una ventina di partite. Sia il Partinico Audace, che battemmo in semifinale, sia il Molfetta, sconfitto nella finalissima, erano seconde nel rispettivo raggruppamento di Serie D. Fu un'esperienza indimenticabile per tutti noi che l'abbiamo vissuta direttamente e per la Sestese, che conquistò il suo primo titolo a livello nazionale'.


Quanto è sbagliato dire che, oltre al talento e all'organizzazione, una delle vostre carte vincenti fu una buona dose di spensieratezza?


'Concordo sul fatto che aver vissuto quelle finali senza particolari pressioni fu un punto di forza, che ci consentì di chiudere con il botto un percorso in Coppa fatto di tutte vittorie e una sola sconfitta. Le due gare di finali si svolsero a Lumezzane, dove andammo quasi come una gita premio, con le nostre auto private. Vincemmo la semifinale e quasi non avevamo pensato al prosieguo: restammo lì per giocare dopo un paio di giorni la finale ma non avevamo un campo in cui allenarci. Fu così che ci preparammo per l'ultima partita nei giardini vicini al nostro hotel. Peraltro nella stessa struttura soggiornava anche il Molfetta, avversario nella gara che metteva in palio la coppa'.


Immagino che il clima non fosse quello di fraterna convivialità.


'Esatto, ci guardammo un po' in cagnesco per due giorni, fino alla partita. Ricordo che uno di loro stazionava nella hall con il ghiaccio sulla caviglia, i postumi della loro semifinale. Era uno dei loro giocatori migliori, lo prendemmo di mira: iniziò la partita ma dopo una decina di minuti e un paio di pestoni chiese il cambio. Segnammo il gol vittoria all'11' con Guidotti, fu una gara tirata ma, a parte quell'episodio lì e una loro espulsione nel finale, anche corretta. E poi fu festa'.


Col senno di poi, quella squadra era la somma di tanti predestinati. Claudio Targetti, Riccardo Bartalucci, Daniele Allori, Andrea Pratesi, Giovanni Torracchi, Luciano Facchini e lo stesso Andrea Lodovini: tutti loro sono diventati allenatori e più di uno si è tolto soddisfazioni enormi in panchina. Fra tanti futuri allenatori però chi era il vero allenatore in campo?


'Il cervello era Riccardo Bartalucci: ruolo centromediano metodista, aveva lui le chiavi del gioco. Anche Andrea Pratesi dettava i tempi della squadra, comandando da dietro le uscite e coordinando i movimenti arretrati. Ma come ben evidenzia il futuro che hanno avuto tutti loro, in quella squadra c'erano consapevolezza e testa, oltre ai piedi buoni. E tanta passione. Quando andavano in campo i giocatori che ha nominato il loro peso si sentiva eccome'.




Stefano Calderini (Scudetto Italiano Giovanissimi 2005-2006)


Dentro un progetto che ha segnato un'epoca


Per entrare nella storia della Sestese Stefano Calderini scelse un modo indimenticabile, coniugando ragione e sentimento, emozioni e obiettivi tecnici. Un passo indietro: a inizio anni Duemila la società rossoblù, sotto la guida di Filippo Giusti, compie il definitivo salto di qualità, allestendo un cantiere di lavoro sui giovani del proprio vivaio in cui operano i migliori tecnici con metodologie innovative in una struttura all'avanguardia. Non che siano il primo focus quando si parla di ragazzi, ma i risultati servono a qualsiasi livello: è così che nel giugno 2006, sulla panchina dei Giovanissimi classe '91, Calderini sconfigge in finale il Donatello Udine e conquista il primo - anche solo per questo indimenticabile - scudetto italiano della storia rossoblù. Se il calcio è capace di esprimere ancora dei maestri, il tecnico nativo di Milano ha le carte in regola per esserlo già o diventarlo, e non è un caso che il suo nome si sia legato alla Sestese e, insieme al glorioso nome dei rossoblù, abbia compiuto il suo ingresso nella storia del calcio dilettantistico.


Il calcio è uno spartito, dipende come lo si interpreta: sono parole sue mister; che esecuzione, che melodia e con quali strumenti si suonava in quegli anni a Sesto?


'Alla Sestese devo una parte importante della mia crescita personale, è stato un rapporto in cui è nato qualcosa di grande che ha portato benefici a entrambe le parti. Lo dico per esperienza diretta: l'organizzazione della Sestese non ha niente da invidiare alle società professioniste, specialmente a livello di settore giovanile, è un vero e proprio modello. Sono arrivato a Sesto Fiorentino in un momento felice, in cui erano presenti tutti i presupposti e i fattori per raggiungere i massimi risultati sportivi: anzitutto un ottimo materiale umano e tecnico a disposizione di allenatori che hanno lavorato in maniera coordinata. È stato un processo di crescita che ha coinvolto tutto il settore giovanile, portandolo a livelli altissimi sui quali è rimasto nel tempo. Quando arrivai a Sesto partii dal basso, dalle categorie più piccole: è stata l'occasione per condurre per mano alcuni gruppi, non solo i '91 ma anche i '92 e i '93 ad esempio, fino alla possibilità di giocarsi uno scudetto o una coppa di alto profilo. Passai alla prima squadra rossoblù, ma nel frattempo il meccanismo che avevamo iniziato continuava a viaggiare a mille, e Rosario Carubia nel 2011 vinse un altro scudetto con i classe '94'.


Proseguendo nella metafora musicale, che qualità aveva l'orchestra di quella squadra Giovanissimi '91 che portò al titolo tricolore?


'Probabilmente nel corso della mia carriera ho allenato squadre più forti di quella, ma forse nessuna con quella forza, anche mentale, con quella capacità di stare sempre sul pezzo in ogni partita; un gruppo umile ma determinato, composto da giocatori che hanno poi proseguito a giocare su ottimi livelli'.


In quegli anni la Sestese ha letteralmente costruito il modello del propulsore che continua a spingere il suo settore giovanile; si può dire che il suo contributo sia stato dinamico e propositivo, fatto anche di divergenze e confronti?


'Ogni volta che torno a Sesto ho come la sensazione che il tempo si sia fermato, anche se la Sestese continua a viaggiare a tutta; una sorta di 'piccolo mondo antico', al quale ritorno sempre con grande piacere. Questo perché ormai da tempo c'è un gruppo di persone che manda avanti con successo il progetto tecnico, che tira fuori il meglio dai suoi tesserati. Non sono uno yes man, ho le mie idee e non le ho mai tenute dentro quando le ho ritenute utili per la causa comune. Con Filippo Giusti abbiamo avuto tanti momenti di confronto ma grazie alla reciproca stima e all'intelligenza ogni volta abbiamo fatto un passo in avanti, proprio grazie al confronto che avevamo sostenuto. Tutti inevitabilmente commettiamo degli errori, ma se si ha l'intelligenza di individuarli e la saggezza di ammetterli e lavorarci su allora si imbocca la strada giusta della crescita. Filippo è una delle anime della Sestese, lavorare con lui è stata un'occasione splendida, se ricapitasse so che troverei sempre stimoli e preparazione ai massimi livelli'.


Sono passati tanti anni e nel frattempo lei ha archiviato numerose stagioni sportive; la foto di quello scudetto lì però che colori conserva?


'Molto vivi e accesi. A distanza di tempo ogni volta che qualcuno mi porta a ricordare quel titolo che abbiamo vinto sono orgoglioso di quanto riuscimmo a fare con i ragazzi, sia per il cammino compiuto sia per la soddisfazione di aver regalato una gioia indimenticabile alla nostra società. Prima della finalissima battemmo la corazzata Tor di Quinto con un gol all'ultimo minuto di una gara giocata quasi interamente in inferiorità numerica: sono eventi che hanno creato un'identità di gruppo che si conserva ancora oggi quando riparlo con chi era con me in quella stagione. Emozioni uniche che solo il settore giovanile regala. Allenare i ragazzi è bellissimo e difficilissimo allo stesso tempo: devi essere un po' un padre, un po' fratello maggiore, un po' un amico, un po' un maestro di scuola. Quando conquistammo lo scudetto lì per lì non capii appieno il valore della cosa, serve sempre tempo per intuire l'esatta dimensione di quella che è stata una vera e propria impresa. E dopo anni quelle emozioni sono ancora ben presenti dentro di me'.




Rosario Carubia (Scudetto italiano Allievi 2010-2011)


Causa-effetto: quando la filosofia porta alla vittoria


È tutto fuorchè un luogo comune la storia della Sestese, ma ricorrendo a uno di questi si può dire che se non c'è due senza tre, il terzo titolo a livello nazionale del club rossoblù ha un significato del tutto proprio. Non è il semplice tris di una società che dal Duemila in poi è entrata fra le big del calcio giovanile dilettantistico italiano, ma il miglior biglietto da visita di una società che ha ormai trovato una dimensione di eccellenza nella cura del proprio vivaio. Ne parliamo con chi ne è stato artefice, capocantiere di quel settore giovanile: Rosario Carubia, il tecnico che nel giugno 2011 ha vinto il titolo italiano Allievi con i suoi classe 1994.


Quando a una vittoria si affianca una narrazione un trofeo resiste alla prova del tempo. La sua squadra e quello scudetto sono passati alla storia come la vittoria ai rigori della squadra che, ai rigori, aveva sempre perso. Perché?


'Presi i '94 nella categoria Allievi B, con un'ottica di programmazione biennale: un gruppo di ottimo livello, che negli anni precedenti si era confrontato ad armi pari contro tutte le migliori mancando però sempre l'acuto vincente a causa dei calci di rigore, che avevano sancito la loro sconfitta in ogni occasione in cui era in palio un titolo o un trofeo. Capii che era uno degli aspetti su cui avrei dovuto lavorare e così, per due anni, alla fine di ogni allenamento ci siamo allenati nell'esecuzione dei tiri dal dischetto; un gesto tecnico su cui lavorare sia dal punto di vista emotivo sia da quello tecnico. La curiosità non si esaurisce qui, perché i rigori non sono mai serviti nel corso di quei due anni, tranne che nell'ultima gara di quel biennio. E quella era la partita decisiva: la finale che ci regalò lo scudetto, vinta proprio ai rigori'.


La sua visione della vita, se non sbaglio, non contempla l'esistenza dell'elemento del caso. La vittoria ai rigori non è frutto della casualità, come non lo è stato quella sorta di training autogeno dal dischetto che avete praticato nel biennio.


'Pratico il buddismo e quindi sono convinto che niente avvenga per caso ma ogni effetto abbia una causa, e che ogni causa produca un effetto. Guardando da quest'ottica quello che abbiamo fatto in campo, possiamo dire che abbiamo cercato di lavorare sulle cause per ottenere un giorno un effetto, senza però sapere se sarebbe arrivato il giorno in cui i rigori sarebbero tornati ad essere nuovamente decisivi. È significativo ripensare come i tiri dal dischetto siano stati decisivi nell'ultima gara che metteva in palio il massimo titolo sportivo, l'ultima gara dopo quasi un centinaio nel corso dei due anni precedenti. E a tirare i rigori in quella finale contro la Fincantieri Palermo furono in buona parte ragazzi che non erano rigoristi, qualcuno aveva pure giocato poco durante l'anno; dopotutto andammo prima ai supplementari e poi ai tiri di rigore ad oltranza. Ma quel gruppo era costruito per vincere, era stato costruito per farlo negli anni precedenti: la Sestese vi aveva lavorato fin dalla scuola calcio, alternandovi i migliori allenatori. Io li condussi nell'ultimo miglio, verso quella vittoria, ma lo percorremmo su solide basi gettate in precedenza. Io, a mia volta, avevo fatto tesoro delle esperienze precedenti'.


Qual è il riferimento?


'Quattro anni prima, nel 2007, la Sestese arrivò alle final six di Lignano Sabbiadoro con due squadre: i Giovanissimi di Calderini e i miei Allievi, i classe '90. Quella squadra aveva un'unica modalità di gioco: a mille all'ora. Giocammo la prima gara del girone a tre e vincemmo, poi però non ne avevamo più in quella successiva e finimmo eliminati. Lavorai su me stesso e capii che serve sempre un piano B; la gestione delle risorse a disposizione è obbligatoria e quando ho di nuovo avuto la possibilità di giocarmi lo scudetto con i '94 non ho ripetuto l'errore commesso in precedenza'.


Quei classe '94 erano uno dei tantissimi gruppi che, in quegli anni così come è avvenuto negli ultimi fino ai giorni presenti, rappresenta al meglio il livello di eccellenza raggiunto dal vivaio rossoblù. Com'è stato lavorarvi dall'interno?


'Come abbiamo detto la casualità non esiste e dentro la Sestese nulla avviene per caso: lavorando dall'interno la sensazione che ho sempre avuto è che il lavoro sul principio di causa-effetto avvenisse in ogni istante. Non solo i miei '94, ogni gruppo uscito in quegli anni e praticamente fino a oggi dal vivaio della Sestese rappresenta potenzialmente il top, perché è il frutto di un ambiente che ha una mentalità ben precisa, che parte dalla dirigenza e si irradia fino alla scuola calcio, in una struttura in cui ognuno svolge il suo compito e rispetta i ruoli. Io ho vinto uno scudetto, Calderini ha fatto altrettanto e in altre occasioni la Sestese ci è andata vicina: una qualità così elevata che si mantiene costante nel tempo è difficile da trovare altrove'.


In conclusione, ci spiega come è finito su questo giornale asiatico? (nella foto)


'È una rivista buddista che si è appassionata della mia storia e dei miei ragazzi e ha pubblicato questo articolo in numerosi paesi del continente asiatico. È una pubblicazione in cui lo sport trova molto spazio e il calcio è visto con molto interesse, così come hanno trovato interessante la nostra vittoria'.



Nessuno come Rosario Carubia ha portato lontano, a giro per il Mondo, il nome della Sestese.



(Si ringrazia per la collaborazione Franco Calamassi Cecchi. Per chi volesse approfondire la storia della Sestese, consigliamo la sua pubblicazione 'Sestese Calcio - 70 anni di orgoglio e passione', Apice Libri, ISBN 9788899176426)


a cura di Lorenzo Martinelli Calciopiù