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La storia della San Michele Cattolica Virtus - prima parte

La storia della San Michele Cattolica Virtus - prima parte

Nel nome del padre fondatore


Siccome le grandi storie hanno anche una loro specifica geografia, quella della San Michele Cattolica Virtus ha un'orografia tutta sua - le dolci colline di Monte Oliveto e del confinante parco di Villa Strozzi - dislivelli e ascese - le mitiche salitine che portano alla terrazza e al campo d'allenamento - e infine un cromatismo preciso, il colore del 'campo più bello della Toscana', come lo hanno definito in tanti attraverso i decenni; un verde brillante unico che potrebbe entrare nella scala Pantone.


Ma la geografia troppo spesso si limita ad appiattire su carta e non restituisce la profondità di campo di una sensazione ben più profonda; ossia che a distanza di sessant'anni dalla sua fondazione un'esperienza come quella della Comunità Giovanile San Michele sia non solo irripetibile, ma anche di difficile concezione in un presente che ha ormai diluito luoghi di aggregazione e valori educativi nel mare magnum della nuova società contemporanea, in cui la fisionomia all'orizzonte di terre e confini muta troppo repentinamente per essere gestita da una piena consapevolezza che stia al passo. Figlio dello spirito del suo tempo, quello che decenni orsono portò alla rinascita di un intero sistema-paese che stava spiccando il volo dopo le nefandezze del secondo conflitto globale, il sogno di Don Mario Lupori è divenuto realtà utilizzando, assieme ai materiali da costruzione, quei principi e valori che hanno un carattere di universalità. Eternato nella storia sportiva dalle gesta di centinaia e centinaia di giovani calciatori, il grande romanzo della San Michele si materializza, prima ancora che fra le dolci colline di Monte Oliveto dove si armonizza fin da subito, nella testa del giovanissimo Don Mario Lupori. Ordinato prete nel 1940 e formatosi successivamente alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove completò i suoi studi su suggerimento del cardinale Elia Dalla Costa, Don Mario assistette agli orrori della guerra e, quando l'Italia voltò pagina e iniziò la sua rinascita, incarnò lo spirito di partecipazione attiva proprio di quell'epoca interpretando la sua vita come una missione al servizio dei giovani. Sulla scia dei grandi maestri come don Giovanni Bosco, ha affiancato per tutta la durata della sua esistenza l'insegnamento - tenne per decenni la cattedra di storia della Chiesa formando generazioni di sacerdoti e contemporaneamente insegnò religione negli istituti tecnici superiori - al servizio in mezzo ai giovani, che riteneva la fascia più preziosa della popolazione.


Fra i tanti meriti che rendono fondamentale non solo per la San Michele la figura di don Mario Lupori, in attesa peraltro che questa venga approfondita e diffusa come merita da qualche pubblicazione specifica, operazione difficile data la sua volontà di non lasciare una vera e propria eredità scritta, c'è senza dubbio la sua capacità di essere un professore emerito in storia della Chiesa e contestualmente un uomo del suo tempo, capace di entrare in risonanza con le mutate esigenze dei giovani e della società, inserita in un Novecento definito giustamente secolo breve per la sua rapidità di scorrimento. L'intuizione che lo rende un grande del panorama fiorentino del secolo scorso è quella secondo cui lo sport, meglio ancora il calcio, sia un polo attrattivo formidabile con cui coinvolgere e creare partecipazione nei giovani, avvicinandoli al messaggio del Vangelo ma in un'ottica di pre-evangelizzazione più vasta, su principi di verità e giustizia che sono propri anche del mondo laico. Don Mario attraversa il secolo scorso a braccetto con la Comunità Giovanile San Michele, che lui stesso fonda a fine anni Cinquanta, nel quartiere di Soffiano in quell'Oltrarno che, nonostante la sua statura oltrepassasse confini ben più ampi, è sempre stato il suo territorio di riferimento.


A sostenere don Mario nello sforzo economico sono le conoscenze del periodo romano, in particolare l'amicizia con la baronessa Anne Milliken Franchetti - che li legherà per tutta la vita. Grazie alle risorse messe a disposizione dalla fondazione della famiglia della baronessa il sogno di don Mario diventa realtà. Perché di sogno si trattava quell''ideale al quale ancora oggi aspiro, la bellissima e possibile sintesi fra una grande società sportiva che crede nella forza aggregatrice dello sport e una comunità di giovani desiderosi di verità, di libertà, di giustizia, di pace', per dirla, decisamente meglio, con le parole dello stesso don Mario, parole divenute il manifesto delle generazioni di giallorossi cresciute all'ombra della spada dell'Arcangelo Gabriele.


Alla fine degli anni Cinquanta, al '57 e al '59 per la precisione, risalgono rispettivamente i primi atti ufficiali e le prime partite di calcio del Centro Sportivo Pignone Cattolica Virtus. Si chiamava così all'epoca la società sportiva risultante dalla fusione fra il l'A.C. Pignone, espressione della parrocchia di Santa Maria al Pignone di via Felice Cavallotti in cui era don Mario, e la squadra di Monticelli, il quartiere confinante con Soffiano in cui si è sviluppato il meraviglioso (chi l'ha visto almeno una volta, e sono tanti, sa che l'aggettivo non è iperbolico) impianto sportivo della San Michele. Il nucleo originario quindi è il gruppo di ragazzi della parrocchia di don Mario da una parte e quelli della parrocchia di San Piero a Monticelli dall'altra: fra questi ultimi l'animatore principale è Renzo Baldacci, che poi diventerà parte integrante della famiglia giallorossa. È il factotum (allenatore capitano presidente) della squadra che si chiama prima Virtus, poi anche Cattolica, su suggerimento del priore. Le due squadre non hanno un campo loro e si spostano fra quello della Reman di Legnaia, il Velodromo delle Cascine e un rettangolo di gioco che oggi non esiste più, nei pressi del torrino di Santa Rosa a porta San Frediano; fra le due quella che eccelle è la Cattolica di Baldacci, che fin da subito ottiene risultati importanti nei primissimi campionati ufficiali organizzati dalla Figc nel Dopoguerra. Una volta divenute una cosa sola, le due squadre si apprestano a calcare il campo che ospiterà poi tutta l'attività dei giallorossi: il piano regolatore dell'epoca individua l'area su cui ancor oggi sorge l'impianto della San Michele come destinata allo sport, don Mario sceglie allora quello scenario naturale così suggestivo per ospitare il progetto che ha in testa. È l'abbrivio iniziale di un romanzo la cui sceneggiatura originaria esce dalla mente e dalle idee di don Mario ma che poi si sviluppa in un modo unico come unico è il connubio fra la Comunità Giovanile San Michele e la Cattolica Virtus: operando una forzatura sul nome e declinandolo con due voci distinte eppure perfettamente unite si coglie il senso di due cuori che abitano la stessa anima. La prima - la comunità - fa da contenitore ed è contenuto al tempo stesso: funge da cornice allo sport, al calcio e alla pallavolo che si aggiunge dal 1976, ma è soprattutto il nucleo propulsivo del progetto di don Mario, il centro magnetico attorno al quale ruotano nel tempo centinaia di iniziative - dal teatro al cinema, passando per la musica - e si aggregano migliaia di giovani del quartiere Oltrarno.


Don Mario viene affiancato negli anni successivi da sacerdoti che ne ricalcano lo spessore come don Ajmo Petracchi prima e don Stefano Manetti poi, perfetti interpreti a loro volta dello spirito originario della missione della comunità, che si mantiene intatto fino ai giorni presenti. La seconda, la Cattolica Virtus, è una società di calcio dilettantistico che fa tanta strada, ma così tanta che arriva a intrecciare in modo indissolubile il suo nome con i libri di storia, perché chi fa uscire dal proprio settore giovanile campioni del mondo come Paolo Rossi e Andrea Barzagli e mette insieme squadre che vincono per quattro volte lo scudetto italiano non può far altro che diventare, semplicemente e come minimo, una società sportiva fra le più titolate e blasonate in assoluto. Don Mario Lupori è stato sempre e fino all'ultimo un padre severo e rigoroso sebbene mai un padre-padrone; la sua figura ha costantemente creato un rapporto dialogico non tanto con il calcio, ma con coloro i quali sono stati chiamati nel tempo a portare avanti la macchina organizzativa sportiva mantenendola nel solco dei valori da lui tracciato. Don Mario è morto novantenne nel settembre 2007 e quasi fino alla fine dei propri giorni ha vissuto quotidianamente l'impianto sportivo e i locali di via Piero di Cosimo: dava la sensazione che la San Michele fosse una figlia alla quale sapeva perfettamente di dover concedere ampio spazio di autonomia. La sua non era una visione tetragona ma una visione appunto; e le visioni sono per definizione aperte alla creatività e all'innovazione, meglio ancora se arriva dal contributo di qualcuno esterno, che non necessariamente ha un punto di vista che coincide con il nostro. Anche perché infatti, interpretata di volta in volta da persone fidatissime e capaci, la parte sportiva dei giallorossi ha sempre saputo utilizzare al meglio quell'autonomia, seguendo i binari della propria tradizione e mettendola a frutto - sul campo di calcio - con decenni di storia vissuti con la penna che incide gli almanacchi storici. Dai primi presidenti degli anni Sessanta, come Paolo Tarchi, Paolo Casaglia e Sergio Taiti, fino agli ultimi in ordine di tempo che rispondono ai nomi di Massimo Cerbai e Maurizio Cammilli, la San Michele Cattolica Virtus ha ottenuto quattro titoli italiani e un'infinità di gioie sportive senza mai tradire neanche per un istante i propri principi e valori. Aggiornata e sincronizzata con i tempi attuali, si potrebbe dire che i giallorossi hanno saputo vincere con stile; la verità - usando un concetto caro a don Mario - è che la San Michele Cattolica Virtus ha saputo cogliere le più alte glorie terrene sul rettangolo verde, senza mai venire a compromessi con lo spirito originario del suo fondatore.



Aldo Nesticò - Con a cuore i giovani


Nello svolgimento della sua professione di magistrato e nell'interpretazione del suo mandato di presidente della San Michele, ruoli che ha ricoperto rispettivamente per decenni, Aldo Nesticò si è sempre orientato con una coordinata fissa: i giovani, le loro fondamentali necessità e tutele, i loro inalienabili diritti. Altra figura di grande rilievo assieme a quella di don Mario Lupori nel panorama del Novecento fiorentino, Aldo Nesticò è stato per tantissimi anni vice e per una decina il procuratore capo del Tribunale per i minorenni di Firenze; le sue capacità e qualità morali lo avrebbero potuto portare a lavorare in uffici giudiziari ancor più prestigiosi, come possono essere ritenuti la Corte d'appello o la Cassazione, ma la difesa dei diritti dei giovani e le delicatissime dinamiche decisionali dell'istituto giudiziario in cui ha sempre operato sono state la sua unica vocazione, quella dove ha costantemente avvertito di dover profondere i propri sforzi. A fianco del suo lavoro e impegno nella società civile, Nesticò si è speso nel profondo anche nello sport. È considerabile uno dei padri fondatori della San Michele: il suo mandato presidenziale abbraccia quello che si può ritenere come uno dei periodi d'oro della comunità fondata da don Mario, dalla fine degli anni Sessanta fino al 1986, quando cedette il testimone a Luca Magnelli dopo aver gioito per i due titoli italiani conquistati (il terzo sarebbe arrivato poco dopo) ed essere entrato in contatto con il calcio che conta, come avvenne in occasione del passaggio di Paolo Rossi alla Juventus.


Aldo Nesticò e i giovani: quasi un impegno militante, quasi una vocazione.


'Sono convinto che serva uno speciale interesse per questa materia. Ho sempre rifiutato incarichi in altri settori della magistratura perché la mia passione - concordo, quasi una vocazione - è stata sempre relativa al lavoro che si svolgeva negli uffici di via della Scala a Firenze, nel tribunale minorile. A mio avviso in quegli uffici svolgevo un compito che comporta una responsabilità enorme e regala gratificazioni altrettanto grandi, poiché con quell'attività giuridica si deve entrare nelle famiglie, nel rapporto speciale che c'è fra i minori e i genitori. Dalle decisioni che si prendono dipendono i destini delle persone, pensate a quanto possa essere terribilmente delicato il momento in cui si dichiara l'adottabilità di un ragazzo o una ragazza: è l'istante in cui si tocca il rapporto, quasi sacro, che lega figli e genitori, il peso della responsabilità è quasi insostenibile. Ho visto colleghi estremamente capaci lasciare il Tribunale per i minorenni dopo pochi anni, schiacciati proprio dal peso specifico di ogni scelta presa'.


La San Michele è sempre stata una parte integrante della sua vita, anche nel periodo in cui si trasferì a Milano per ricoprire l'incarico di pretore civile: ha giocato alla Cattolica, vi ha allenato, è stato direttore sportivo e poi presidente. Proprio sotto la sua presidenza, che si è protratta per più mandati, la società e la comunità hanno vissuto un periodo felicissimo: quali furono i passaggi che vi consentirono di consolidarvi così in alto a livello sportivo?


'Sono stato fisicamente lontano dalla San Michele soltanto dal '69 al '72, ma quando chiesi e ottenni il trasferimento alla procura minorile di Firenze con l'incarico di sostituto procuratore ho potuto dedicare tante energie e tempo alla comunità e alla sua parte sportiva. E sono stati anni d'oro, come ben testimoniano i due titoli italiani che abbiamo vinto nel 1977 e nel 1984 e quello del 1988, il terzo scudetto arrivato l'anno successivo a quello in cui lasciai la carica. Quando diventai presidente, a inizio anni Settanta, il mio arrivo coincise con un ricambio dirigenziale che assicurò continuità sul piano dei valori ma segnò una svolta su quello dei concetti e delle idee; presentammo un nuovo approccio che ritenevamo più in linea con le mutate esigenze della società di quegli anni, che stava cambiando in fretta. I dirigenti che c'erano prima intuirono di dover lasciare spazio a chi proponeva un cambio di marcia, e a nostra volta proponemmo un vero e proprio mutamento di paradigma. Ritenere che il merito delle società sportive sia soltanto quello di togliere i ragazzi dalla strada è uno sminuire le possibilità educative, il valore e il capitale umano che le società stesse possono offrire. Nella nostra concezione e nella mia personale convinzione c'è sempre stata l'idea che un'associazione sportiva debba avere un compito molto più impegnativo ma anche più importante, quello di collaborare con le famiglie e le altre istituzioni all'educazione dei giovani. La logica di togliere i ragazzi dalla strada sarà sempre attuale ma è anche il retaggio del Dopoguerra, quando l'unica attività fisica possibile era quella spontanea nei cortili o nei prati; con la ripresa economica lo sport e il calcio, anche dal punto di vista costituzionale, si sono assunti la responsabilità di formare non solo bravi atleti ma anche giovani uomini, i cittadini del domani, aggregandoli attorno a un campo da gioco. E questa responsabilità impone che ai genitori un dirigente sportivo debba dire: non vi deve interessare soltanto che vostro figlio diventi un buon mediano o un forte centravanti, ma che qui nella nostra associazione sportiva prosegua l'azione educativa che riceve a casa e a scuola'.


Senza mai nascondere o tradire le proprie radici che affondano nei valori della cristianità cattolica, come è riuscita alla San Michele l'operazione di coniugare principi educativi al raggiungimento dei massimi traguardi sportivi?


'Mi preme sottolineare come l'ispirazione cristiana non sia mai stata vincolante, quella religiosa proposta dalla comunità era un'offerta, non un obbligo, e non sono mai avvenute discriminazioni verso chi avesse altre professioni religiose, anzi la logica inclusiva si è attivata con ancor più forza in quei casi specifici. È difficile rendere l'idea di cosa significhi questa doppia anima a chi non conosce la San Michele; da una parte la comunità, dall'altra la parte sportiva. Ma la prima, la comunità, è sempre stata una sorta di grande mamma, un'idea formidabile di don Mario che voleva offrire ai ragazzi non solo sport e aggregazione, ma anche la cultura sotto forma di cinema, teatro, musica e le innumerevoli occasioni d'incontro con i valori importanti della vita. Abbiamo avuto la straordinaria opportunità di utilizzare spazi e risorse economiche per svolgere la funzione, oltre a quella tecnica di istruzione calcistica, di allargare lo sguardo dei nostri giovani verso gli orizzonti delle discipline artistiche, ad esempio, o il doposcuola che don Mario stesso istituì in anticipo sui tempi. Il calcio portò grandi vittorie e creò il sospetto in qualcuno che l'idea ispiratrice di don Mario venisse banalizzata e ridotta a semplice attività sportiva, la nostra capacità organizzativa sul piano calcistico fu vista anche come un ostacolo per il raggiungimento dei più alti obiettivi della comunità, della sua ispirazione cristiana; ma per fortuna il tempo ha detto che tramite lo sport la San Michele ha diffuso i suoi valori con più forza, e attorno al campo ha creato una solida identità e una fisionomia stabili nel corso degli anni'.


Pur essendo un guardiano dei valori fondanti, sospettoso verso l'eccessivo agonismo, che tipo di legame aveva don Mario con la parte sportiva?


'Non è stato facile per noi dirigenti investire ore e ore del nostro tempo e ricevere spesso da lui dei rimproveri, che però erano sempre richiami affettuosi, affinché il nucleo più prezioso del suo progetto non venisse tradito. L'apparenza burbera era solo di facciata: anche se non lo dava a vedere era il primo tifoso delle squadre giallorosse, indicava la via con mano ferma e a volte severa ma sapeva benissimo gioire di una vittoria e non mancava mai di conoscere l'esito di un fine settimana sportivo'.


Restiamo nell'ambito strettamente sportivo e parliamo di quei tre scudetti vinti nel decennio a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta: di cosa furono diretta conseguenza?


'Furono il risultato di un'attività sportiva svolta su standard che per l'epoca erano propri del professionismo, una perfetta sinergia fra la nostra capacità di scegliere bravissimi allenatori e istruttori in prima battuta e validi giocatori in seconda e l'abilità di questi ultimi nel regalarci gioie incredibili sul campo. Grazie alla credibilità e agli ottimi rapporti che avevamo con le società abbiamo allestito sempre squadre competitive ai massimi livelli del dilettantismo italiano, raggiungendo la finale nazionale anche in altre occasioni oltre a quelle in cui abbiamo vinto lo scudetto. Potevamo contare sui migliori allenatori, i giovani più capaci, una solidità, un'organizzazione e perché no, un entusiasmo che non potevano avere come esito nient'altro che quelle indimenticabili gratificazioni'.


Avete messo la Cattolica al centro del calcio regionale, dove è tuttora. Quegli anni sono un'incredibile fucina di aneddoti, molti dei quali proposti in occasione della recente, dolorosa scomparsa di Paolo Rossi, emblematico nel testimoniare cosa sia in grado di esprimere il vivaio giallorosso. A proposito di aneddoti, come si mescola il sacro con il profano evocando Luciano Moggi sulla terrazza, davanti alla statua dell'Arcangelo San Michele?


'Paolo Rossi è stato il nostro gioiello più splendente, un ragazzo eccezionale che giocò con noi dai 12 ai 16 anni; fu notato da Luciano Moggi, all'epoca capo degli osservatori della Juventus. In quel periodo facevo il pendolare con Milano e andavo spesso a Torino per parlare della cessione di Paolo alla Juve. Fu una trattiva lunga ma dalla quale ottenni il massimo, 15 milioni di lire, una cifra elevata ma di cui la società bianconera non si pentì di certo'.


Veniamo al presente. L'idea di don Mario, un'esperienza come quella della San Michele, sono sempre attuali?


'I tempi sono cambiati e senza voler apparire retorico al giorno d'oggi è molto più difficile interagire con i giovani, è peggiorata soprattutto la capacità di interessare i ragazzi a qualcosa in modo duraturo, visto che ormai a cinque o sei anni hanno già davanti ai loro occhi uno schermo che cattura la loro attenzione per qualche secondo, poi propone qualcos'altro e così via potenzialmente all'infinito; i giovani poi sono esposti a interessi e modelli che non sono virtuosi per la loro crescita e quindi oggi, a maggior ragione, l'idea di agganciarli a una dimensione sana come quella dello sport svolta secondo precisi standard è una salvezza per le famiglie che hanno a cuore il benessere dei propri figli'.


L'impegno civile e professionale, le energie investite alla San Michele: cosa le ha lasciato in eredità il suo straordinario rapporto con i giovani?


'Essendo una mia passione e una vocazione la vicinanza con i giovani è stata una profonda ragione di vita; ancor oggi, quando capito alla San Michele che continuo a frequentare, provo un piacere immenso nel ritrovare i ragazzi che ho visto crescere e diventare uomini e sono orgoglioso di aver fatto parte di una realtà che tuttora, grazie all'impegno delle persone che vi operano, mantiene integra l'idea originaria di don Mario e perfettamente funzionante il progetto al quale dette vita tanti decenni orsono'.



Luca Magnelli, un guardiano della tradizione


Solo in apparenza inconciliabili, i valori sui quali don Mario Lupori fondò la Comunità della San Michele e i valori tecnici di una fucina di talenti come è da sempre la Cattolica Virtus coesistono in maniera dialogica e dinamica fin dall'inizio, generando un'esperienza che presenta tanti tratti di unicità, propri di una realtà che è un modello sì, ma di difficile imitazione. Quando Aldo Nesticò nel 1986 cedette il testimone a Luca Magnelli, la Cattolica Virtus era al top del calcio dilettantistico italiano, status certificato da quei risultati che l'avevano portata a vincere due scudetti targati Italo Lalli e Riccardo Farulli; il cambio alla presidenza portò ulteriormente bene e, come vissuto in seguito esattamente da Maurizio Cammilli nel 2017 in occasione del quarto titolo, il nuovo presidente Magnelli bagnò il suo primo anno alla guida dei giallorossi con un altro scudetto tricolore, quello conquistato dagli Allievi di Dario Rusic nel giugno del 1988. Magnelli è una di quelle persone che all'interno della Cattolica ha un compito sacro, quello di custodire la fiamma di quell'idea primigenia uscita dalla testa di don Mario; ha lasciato la carica a inizio Duemila, ma ancor oggi frequenta stabilmente la comunità, per cui è e sarà sempre un imprescindibile punto di riferimento. E il suo mandato presidenziale è stato la rappresentazione plastica di come la Cattolica Virtus abbia saputo conciliare i propri valori morali con quelli tecnici - 'Non ho mai amato chi fa calcio giovanile scimmiottando i comportamenti dei professionisti' - afferma l'ex presidente dei giallorossi - 'sono sempre stato un argine all'eccessivo agonismo ma come è sempre stato nei desideri del fondatore don Mario, la parte sportiva ha potuto sviluppare in autonomia il suo percorso, rendendolo compatibile con i valori fondanti e riuscendo a raggiungere traguardi memorabili, come fu quello che centrammo nel 1988. Ricordo bene quella squadra, che fu ricostruita dopo le tante partenze verso la Fiorentina, e guidata fino al titolo conquistato in Lombardia da quel grande uomo e allenatore che è Dario Rusic. Di lui ho sempre apprezzato le qualità e l'atteggiamento, mai esasperato o sopra le righe, uno di quelli che ama il calcio ma non vive soltanto di questo sport, e sa guardare oltre'. Magnelli è cresciuto assieme alla San Michele: aveva una decina di anni quando guardava, assieme ai genitori, il procedere dei lavori di costruzione su quel fianco di collina di Monte Oliveto dove poi ha trascorso tanta parte della sua vita; dopo la morte di don Mario, nel 2007, è tornato a ricoprire un incarico apicale ed è divenuto il primo presidente laico della comunità, un ruolo che fin lì era stato ricoperto sempre dal fondatore. 'Succedere a don Mario è stato un passaggio molto delicato e difficile perché la San Michele è una sua idea che è divenuta realtà. Ed è stato un maestro per tutti noi, un padre severo all'apparenza ma un grande tifoso dei colori giallorossi. Così come solo apparentemente si disinteressava dei risultati del calcio: era costantemente informato, e non mancava di essere pungente e ironico in occasione di qualche sconfitta'.


Lorenzo Martinelli Calciopiù


In foto:


1. Paolo Rossi(1956) in squadra con il fratello Rossano Rossi(1954)




  1. Aldo Nesticò calciatore




  2. Aldo Nesticò allenatore