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La storia della San Michele Cattolica Virtus - seconda parte

La storia della San Michele Cattolica Virtus - seconda parte

La forza di un'idea sempre attuale (e vincente)


Con l'ingresso nel secondo millennio la Cattolica Virtus vive il cambiamento, scoprendo il segreto dell'innovazione che coesiste con la custodia dei valori tradizionali


A dimostrazione del fatto che il moto perpetuo spontaneo non esiste, niente dura nel tempo se non somma la durata di un giorno dopo l'altro, che uno status dato per acquisito è uno status perduto, il grande romanzo della San Michele Cattolica Virtus aggancia la sua narrazione al presente con qualche scossone di assestamento e un necessario cambio di marcia prima di riprendere il suo sviluppo a gran velocità. Nel numero precedente abbiamo ripercorso le origini e i primi quarant'anni di vita dei giallorossi orientandoci con la coordinata fissa rappresentata da don Mario Lupori, il fondatore della Comunità giovanile San Michele al cui interno si è sviluppata, in autonomia e su binari paralleli ma orientati in linea con i principi costitutivi, una parte sportiva che grazie al calcio (ma anche alla pallavolo femminile) ha raggiunto i massimi livelli del dilettantismo italiano. Ci siamo fermati alla soglia del Duemila, simbolica solo in parte e anche vero e proprio spartiacque, nel momento in cui la Cattolica Virtus gira la boa del nuovo millennio con alle spalle già tre titoli nazionali conquistati. Sono gli scudetti arrivati nel cosiddetto periodo d'oro compreso fra il 1977 e il 1988, quando per ben tre volte i giallorossi si cuciono sul petto il tricolore: il primo lo conquista Italo Lalli con gli Allievi, segue il bis in categoria di Riccardo Farulli nel 1984 mentre nell'88 Dario Rusich trionfa alla guida dei Giovanissimi. Seguono i nostalgici anni Novanta, in cui la Cattolica conserva la sua posizione di leadership a livello regionale, sapendo innovare al proprio interno con figure di allenatori aggiornati con le più recenti metodologie: è il caso ad esempio di Vittorio Astolfo, che proprio in giallorosso raccoglie l'eredità di maestri come Lalli e Rivi introducendo delle novità che oggi consideriamo familiari ma che all'epoca erano appunto tali, come ad esempio la cura dell'alimentazione nel giovane atleta. Con il nuovo millennio si apre una fase nuova anch'essa per la San Michele, che proprio a inizio Duemila va incontro a un periodo in cui all'ordine del giorno si presentano problemi e difficoltà. Sono complicazioni che non minacciano certo la storia scritta fin lì ma che minano lo status presente, in quell'eterno presente in cui vive il calcio, anche quello dilettantistico, sempre pronto a disfare alla luce del giorno quello che si è fatto la notte precedente. Nell'arco narrativo di una grande storia come è quella dei giallorossi una congiuntura di questo tipo è fisiologica e si manifesta non a caso quando, vent'anni fa, sulla scena calcistica regionale la concorrenza per restare nel salotto che conta si fa anzitutto più numerosa e conseguentemente più agguerrita. La Cattolica Virtus e i suoi risultati sono stati per anni la tacca più alta sull'asticella, un modello di riferimento per le altre società che nel frattempo hanno iniziato a sviluppare in autonomia e con tratti propri il loro percorso di crescita che arriva a compimento nel primo decennio del Duemila. Margine Coperta, Tau, Sestese elevano il loro livello fino a quell'altitudine che consente loro di arrivare a conquistare uno scudetto, mentre in Toscana la lotta per il titolo regionale di ogni categoria si apre a una platea più ampia. In quel periodo i derby infuocati con lo Scandicci meriterebbero poi un capitolo a parte; più in generale, i giallorossi sono il banco di prova ideale per quelle società che ormai stanno riscrivendo le gerarchie del pallone del Granducato.


Nel frattempo la Cattolica Virtus va incontro a una necessità di cambiamento al proprio interno che è anch'essa fisiologica e a farsi carico di una delle operazioni di rilancio più delicate è il presidente Massimo Cerbai, che raccoglie il testimone di Luca Magnelli nel maggio del 2000. Le prime miglia del secondo millennio presentano qualche inciampo ai giallorossi, che perdono posizioni nelle classifiche e i regionali negli Allievi. Cerbai è appena diventato presidente ma intuisce chiaramente la strada da seguire: per far riprendere quota alla società, per farla tornare a respirare l'aria rarefatta dei massimi traguardi sportivi occorre sì un cambiamento, una ristrutturazione, che avvenga però - e qui sta il segreto del successo di quest'operazione - senza toccare le fondamenta: i valori costitutivi della comunità giovanile San Michele, ma anche le persone che negli anni precedenti hanno avuto a cuore la vitalità del progetto. È per questo che Cerbai cerca e trova immediatamente l'appoggio anzitutto del presidente uscente Magnelli, poi delle figure storiche che hanno accompagnato, in alcuni casi fin dalla nascita, la Cattolica Virtus come ad esempio Renzo Baldacci, o Roberto Ferrini e Andrea Scarselli. Le chiavi del progetto tecnico cui è affidata l'operazione rilancio vanno invece a Sandro Pozzi; è uno degli uomini giusti al posto giusto di quello staff con cui la Cattolica torna in fretta nei regionali e nel Merito con le due squadre Allievi e poi riprende a consolidarsi negli anni successivi, in cui si alternano altri diesse importanti come Marco Marchi o Giuseppe Baccani. Superato l'ostacolo che si trova subito sul cammino, il presidente Cerbai si gode i trofei che riprendono ad arricchire la scintillante bacheca di via Piero di Cosimo e supera un altro snodo cruciale e dolorosissimo: nel settembre del 2007 muore don Mario Lupori, il fondatore e l'ideatore di (citandolo) 'quella bellissima e possibile sintesi fra una grande società sportiva (..) e una comunità di giovani'. Lascia un vuoto che per sua stessa natura non può essere colmato, ma che deve essere riempito e lasciato alle spalle per far sì che l'ideale del fondatore sopravviva alla scomparsa di quest'ultimo. Sono ancora una volta i valori solidali della San Michele a facilitare il compito di Cerbai, che compatta e guida con mano ferma la comunità la cui presidenza, per la prima volta dopo cinquant'anni, passa a un laico, Luca Magnelli. Cerbai mantiene la carica di presidente della parte sportiva e, attorno al 2010, si rende protagonista di un'altra intuizione che si rivelerà fortunatissima. Dallo staff tecnico del settore giovanile della Fiorentina è appena arrivato alla corte giallorossa un giovanissimo Paolo Bosi che prima si fa conoscere per il lavoro sul campo, poi accetta la scommessa di diventare direttore sportivo della Cattolica Virtus. È la svolta che sincronizza in modo definitivo i sofisticati ingranaggi dei giallorossi allineandoli con il battito della contemporaneità: coadiuvato dal lavoro, oscuro ma instancabile e preziosissimo di Luca Briganti e Luciano Bresci, Bosi ridisegna gradualmente il settore tecnico della Cattolica che riprende a vincere su tutti i fronti. È il tempo dei fiori, al quale segue quello dei frutti. Come era già avvenuto nella stagione 1987-'88, in occasione del passaggio di consegne fra Aldo Nesticò e Luca Magnelli, un altro avvicendamento nella massima carica societaria porta decisamente bene alla Cattolica Virtus. A dicembre 2016 infatti Massimo Cerbai conclude il suo mandato (il più lungo fino a qui) consegnando il testimone nelle mani del vicepresidente Maurizio Cammilli che, dopo soli sei mesi di presidenza, nel giugno 2017 si tuffa in un altro bagno di storia della storia giallorossa. A Forlì, nelle due finali che mettono in palio lo scudetto italiano Allievi e Giovanissimi dilettanti, la Cattolica ci arriva con ben due squadre; va male ai 2000 di Francesco Gozzi, è un trionfo invece per i 2002 di Francesco Vallini che rientrano alla base con il quarto tricolore della storia giallorossa. Un insolito acquazzone estivo bagna la serata forlivese quel mercoledì 28 giugno 2017 in cui tutta la comunità giovanile San Michele colora di giallo e di rosso la città romagnola: la possibile sintesi di don Mario si conferma realizzabile e un grande abbraccio lega i dirigenti storici con i nuovi arrivati sotto la statua dell'Arcangelo San Michele. È un momento storico non soltanto perché la Cattolica torna a scrivere sugli albi d'oro delle competizioni nazionali Figc, ma perché i giallorossi si riprendono il presente, non quell'eterno presente che è il tempo verbale del calcio ma la sua declinazione che prelude costantemente al domani.


Se accanto alla biblioteca avrai l'orto, non ti mancherà nulla - disse Cicerone. Secoli dopo Paolo Rossi ha detto che fra tutti i campi che ha girato l'emozione più forte gli è arrivata quando ha rivisto quello della San Michele, in cui il suo mito ha avuto inizio. Azzardiamo: l'intuizione più geniale di don Mario, in fondo, è stata quella di affiancare alla sala adibita a biblioteca che conteneva i suoi preziosi volumi non un orto, ma l'erba del campo più bello della Toscana.


Massimo Cerbai: transizione, rinascita e ritorno al futuro


Non più o meno, è andata esattamente così: -'Massimo, da domani sei il presidente del centro sportivo'. Pausa, un'altra pausa di silenzio, poi l'aggiunta decisiva - 'fai per bene'. È una scena che si è consumata nel maggio del 2000 fra il futuro presidente Massimo Cerbai e don Mario, nella stanza dove quest'ultimo trascorreva buona parte del suo tempo alla San Michele. Ed è dunque il retroscena di come Cerbai assunse la carica di presidente, che poi ha mantenuto per il periodo più lungo della storia giallorossa. Raccontata così assomiglia molto a un'investitura medievale, di quelle che si cuciono su misura ai giovani cavalieri più valorosi della scuderia. Ancorché in un modo po' irrituale, Massimo Cerbai non fu di certo scelto a caso dal fondatore della San Michele: il suo è l'identikit ideale di uno dei tanti ragazzi cresciuti all'ombra della statua dell'Arcengelo. Gli inizi in giallorosso ad appena otto anni, nel mitico 'Torneino del lunedì' delle categorie Esordienti, poi tutta la trafila nel settore giovanile, allenato da coloro che hanno trovato un posto nella hall of fame del calcio fiorentino come Valentino Borgianni, Raffaello Rivi, Carlo Cosi, Luigi Bacchi e Franco Dragoni. Cerbai appende gli scarpini al chiodo prima della maggiore età ma resta sempre all'interno dell'ambiente della Cattolica Virtus, ricoprendo i primi incarichi dirigenziali e quello di allenatore dei portieri. Fino a che, in quella primavera del 2000, mentre sta camminando per i locali della San Michele viene chiamato a sé da don Mario.


Giusto per curiosità: avrebbe potuto rifiutare?


'Direi proprio di no, non si discutevano alcune decisioni di don Mario, come lo era quella. Succedetti a Luca Magnelli, che iniziò ad affiancare proprio don Mario, ormai anziano, nella gestione più generale della comunità e io mi ritrovai davanti un inizio subito in salita: l'allora diesse Alessandro Bassi mi comunicò la sua decisione di lasciare l'incarico e iniziammo con molte difficoltà la stagione successiva, perdendo la categoria regionale e di Merito con le due squadre Allievi per ritrovarci così' davanti alla necessità di riscostruire e reimpostare il lavoro. Arrivare in alto è difficilissimo e necessita di tempo, perdere le posizioni può essere un processo molto più rapido'.


Quali furono le prime contromisure che adottò?


'Feci leva sul senso di appartenenza di persone come Luca Magnelli, Andrea Scarselli e altri che purtroppo non ci sono più come Roberto Ferrini e Renzo Baldacci. Renzo, un grande amico di Paolo Rossi, ricordo bene che mi rassicurò, mi disse di non preoccuparmi, che ci saremo rimboccati le maniche e avremo ritrovato la strada, come poi avvenne. Il primo ds che prese in mano la ricostruzione fu Sandro Pozzi, con cui recuperammo tanto terreno, riorganizzando la nostra struttura introducendo delle novità ma dando tanto spazio alla continuità di dirigenti che sono poi divenuti storici. Furono anni complicati non tanto o soltanto per queste vicissitudini interne, ma anche perché a differenza di quelli precedenti intorno alla Cattolica Virtus si erano ormai affermate e consolidate realtà importanti, che hanno acuito la competizione. Non bastava più, in sintesi, avere uno dei campi più belli che esistono, tre scudetti e la maglia di Paolo Rossi in bacheca per continuare a essere la società più vincente della Toscana'.


Dopo aver ritrovato compattezza e affiatamento al vostro interno, quali tappe hanno caratterizzato la ripresa dell'altitudine in cui è sempre stata la Cattolica Virtus?


'Il passo successivo è arrivato con la consapevolezza che servisse una svolta, che è partita dal lavoro sul campo soprattutto sulla scuola calcio, diventata la base su cui abbiamo costruito quasi per intero le squadre che poi hanno riportato vittorie e trofei alla San Michele. Due considerazioni, una più in astratto, l'altra di ordine tecnico. Per quanto riguarda la prima, per una realtà come la nostra puntare sulla continuità nel tempo del percorso di formazione dei nostri ragazzi partendo dalla scuola calcio viene incontro alla necessità di seguirli per più anni, in modo continuativo appunto. Dal punto di vista tecnico aver puntato forte su un comparto dei più piccoli strutturato e affidato ai migliori tecnici ci ha assicurato un serbatoio di giocatori che non ha mai abbassato la propria qualità, creando solide basi per il settore agonistico. È servito qualche anno, ma poi i frutti sono arrivati. Un'altra svolta è arrivata poi una decina di anni fa, con una vera e propria scommessa vinta'.


Quella su Paolo Bosi direttore sportivo?


'Esattamente. Ho sempre avuto un pensiero fisso, che il lavoro sul campo dovesse essere diretto da una persona con quella formazione lì, che parlasse la lingua degli allenatori. E Paolo Bosi è stato l'interprete ideale di questo mio pensiero, ci ha fatto compiere quell'ulteriore salto di qualità di cui necessitavamo per tornare in alto. Ricordo che quando arrivò da noi la prima volta, dopo l'esperienza alla Fiorentina, durante il colloquio disse: 'vorrei arrivare un giorno a guidare una bella società sportiva, per far questo mi dovete conoscere e a mia volta io devo farmi conoscere'. Dopo un anno nei quadri della nostra scuola calcio gli abbiamo affidato la direzione sportiva e lui ha portato subito competenza e idee nuove. Si è integrato benissimo con lo staff tecnico in cui un ruolo fondamentale ce l'hanno da tantissimi anni Luca Briganti e Luciano Bresci e ha impostato un lavoro con una progettualità forte e lungimirante, che anticipa i tempi. Con lui non a caso sono arrivate in modo continuativo le coppe Cerbai, i titoli e le coppe regionali e infine il quarto scudetto. Ogni volta che al nostro staff si aggiungeva un collaboratore o un allenatore, lo portavo sempre sotto il murale che recita quella famosa frase di don Mario che sintetizza al meglio l'ideale primigenio della San Michele. Paolo Bosi rappresenta una di quelle persone che ha portato novità in seno alla continuità della grande tradizione giallorossa'.


Quella frase di don Mario come manifesto di intere generazioni di ragazzi che come lei sono cresciute con quei valori e quell'ideale. Quanto fu difficile affrontare da presidente della San Michele la morte del suo fondatore?


'È stato un momento davvero complicato, la sua scomparsa ha provocato smarrimento, e se ne siamo usciti lo dobbiamo all'impegno e alla partecipazione di persone come ad esempio Luca Magnelli e Giovanni Martini che hanno assunto la carica e gli oneri della presidenza della Comunità. Nessuno si è tirato indietro e personalmente ho contato molto su Maurizio Cammilli, all'epoca mio vice e al quale ho poi ceduto con orgoglio il mio testimone una decina di anni più tardi. Ricordo che in quel settembre del 2007 ho avvertito tutto il peso della responsabilità di essere presidente della parte sportiva, la stessa sensazione che avevo vissuto in precedenza quando ero stato nominato la prima volta, il peso derivante da una storia gloriosa alle spalle e dall'importanza delle figure di chi mi aveva preceduto, come lo stesso Magnelli e Aldo Nesticò prima di lui. Don Mario è sempre stato il nostro punto di equilibrio, fondatore e guida nel corso dei decenni. Nei momenti di grande entusiasmo per i risultati sportivi diceva che non era per questo scopo che era nata la San Michele. E quando invece c'erano dei problemi o delle delusioni sul fronte calcistico era il primo a incitare, a rassicurare, a indicare una possibile soluzione. Aveva un carisma enorme ed è stata una presenza costante fino alla fine. Stiamo parlando ancora oggi di una sua idea che è nata nel 1959 ed è ancora attuale: è un qualcosa di geniale, così come rispecchia un pensiero illuminato quella sua famosa frase che riassume il senso della comunità giallorossa. In parte può riassumere la sua straordinaria personalità un aneddoto di cui ancora oggi conservo memoria, relativo a Barzagli'.


Quale?


'Ricordo che dopo il debutto in Nazionale Under 21 di Andrea Barzagli avviammo il percorso con cui chiedere il premio-preparazione, dopotutto aveva svolto con noi tutta la trafila del settore giovanile e poi aveva spiccato il volo verso i professionisti. Quando ricevemmo il semaforo verde per la procedura ricordo che andai da don Mario tutto trionfante, dopotutto si trattava di un bel risultato per tutta la Cattolica Virtus. Mi guardò e disse, spiazzandomi completamente: 'Massimo, questa cosa di Barzagli ti aiuterà ad entrare nel regno dei cieli?'. Aveva una visione a lungo termine e per sostenere questo genere di visione occorre equilibrio. Ripeto, ha fissato un punto di equilibrio che poi abbiamo cercato di mantenere, insegnandoci a non esaltarci nella vittoria, né abbatterci in caso di sconfitta o nelle difficoltà'.



Maurizio Cammilli: dal quarto scudetto alle sfide della contemporaneità


Seguendo le orme di coloro che lo hanno preceduto, da Aldo Nesticò passando per Luca Magnelli e arrivando a Massimo Cerbai, anche l'attuale presidente della Cattolica Virtus Maurizio Cammilli incornicia fin da ragazzo i propri ricordi con le colline di Monte Oliveto che circondano la San Michele. Quello è in corso di svolgimento è il suo secondo triennio in carica e il primo iniziò come detto con i fuochi d'artificio, quelli sparati nella notte forlivese per celebrare il poker di scudetti dei giallorossi.


Quando si dice un inizio con il botto.


'Vero, anche se quello straordinario risultato è arrivato come conseguenza del lungo lavoro svolto in precedenza dal Massimo Cerbai, cui sono subentrato a metà di quella stagione 2016-2017 culminata con lo scudetto. Quella sera a Forlì ho vissuto le emozioni, sportive e non solo, fra le più intense della mia vita. Ci siamo presentati a quelle finali con ben due squadre, Allievi e Giovanissimi, stabilendo un traguardo raggiunto pochissime volte in precedenza da altri. Ed è stata una serata in cui abbiamo sperimentato tutta la gamma delle emozioni che il calcio può regalare, perché siamo passati dal sogno di una possibile doppietta allo scenario di un ritorno a casa a mani vuote, perché dopo il ko degli Allievi la gara dei Giovanissimi è stata molto incerta e inizialmente contratta da parte nostra. Alla fine delle due partite le emozioni contrastanti sono continuate: ricordo bene che su una spalla avevo un ragazzo dei 2000 che piangeva di delusione e sull'altra un suo compagno del 2002 che piangeva di gioia, abbracciandosi poi a loro volta e creando un cerchio emotivo che è stato travolgente. Un momento comunque fantastico, che ha ripagato la dirigenza del duro lavoro svolto negli anni precedenti'.


Emozioni che probabilmente si possono eguagliare ma non superare.


'Si tratta del massimo traguardo sportivo e averlo raggiunto per la quarta volte è un risultato che inorgoglisce. Sono le emozioni che regala solo il calcio giovanile, da cui ho avuto tante soddisfazioni nel ruolo di istruttore dei bambini proprio alla Cattolica. Mi sono sempre occupato dei più piccoli all'interno della scuola calcio svolgendo semplice attività motoria, propedeutica al gioco del calcio. Un obiettivo che avevo sempre era quello di dotare i bambini dei loro primi spazi di autonomia, facendoli spogliare da soli senza l'ausilio dei genitori. E averli visti crescere e diventare giovani uomini all'interno della nostra società è un altro successo che mi gratifica enormemente'.


In precedenza abbiamo raccolto le riflessioni di un suo predecessore come Aldo Nesticò il quale ci ha spiegato come fosse complicata ma possibile la coesistenza della matrice di pensiero di don Mario con le ambizioni di un comparto calcio ambizioso e vincente. Lei cosa pensa al riguardo?


'Essere competitivi sul piano agonistico raggiungendo delle vittorie non è in contraddizione o inconciliabile con i valori educativi e formativi contenuti nel messaggio originario di don Mario: lavorare su sé stessi e sulla propria formazione porta a un miglioramento che, a livello sportivo, può tradursi in un successo. Sono convinto che il risultato vincente nel calcio sia un effetto collaterale dell'interazione fra più fattori, entrano in gioco così tante combinazioni che spesso sfuggono alla più precisa capacità di previsione. La San Michele ha dimostrato che può esistere una dimensione di praticare lo sport secondo un preciso modello educativo di riferimento'.


E non scordiamoci che, apparentemente disinteressato alle vicende del campo, don Mario era costantemente aggiornato sui risultati delle squadre giallorosse. Qual è il suo ricordo personale?


'Non si può ricordare don Mario senza sottolineare la sua fiorentinità, la sua ironia tagliente che veniva fuori in ogni occasione in cui la sua conoscenza andasse oltre l'apparenza così autoritaria. Eccome se era costantemente informato sui risultati, in caso di sconfitte brucianti coglieva nel segno con il suo sarcasmo pungente che, come nel biliardo, ti colpiva di rinterzo, con stile. Lo ricordo come un secondo padre o meglio, detto alla toscana, un secondo babbo amorevole. Era autoritario e molto severo quando ammoniva o riprendeva qualcuno, ma sapeva sempre come riconciliarsi a distanza di pochissimo tempo; abbinava carisma a tanta umanità e, anche se il paragone può sembrare azzardato, nei panni di confessore lo rivedo molto nel modo di parlare e nelle riflessioni di Papa Francesco. Era soprattutto un uomo tollerante e moderno, che pensava avanti ed era per le cose e le persone autentiche, non per il conformismo di facciata'.


Assieme ad Andrea Martini, suo coetaneo che presiede la comunità giovanile, è il presidente della parte sportiva della Cattolica Virtus che affronta con una solida tradizione alle spalle le sfide della contemporaneità. A suo avviso, quali sono? La San Michele è sempre capace di farsi interprete di queste sfide a fianco dei suoi giovani?


'Partiamo col dire che don Mario è stato un profeta e, di solito, per profeta si intende qualcuno che ha capacità di previsione sul futuro. Ma profeta è anche chi ha un'idea che continua a essere attuale e moderna attraverso il tempo, a distanza di decenni. Sono convinto che oggi a maggior ragione ci sia ancor più bisogno di una realtà come la San Michele e del suo operato. L'idea profetica del nostro fondatore di utilizzare lo sport come strumento di formazione umana per i ragazzi è attuale come non mai in questo presente in cui c'è una necessità fortissima di educare i giovani alla responsabilità, interpretando un ruolo che non viene più ricoperto dalla scuola né ahimè spesso dalle famiglie. L'affermazione che ad esempio sentiamo da qualche tempo in bocca a tanti genitori, secondo i quali è spesso colpa dei professori per il cattivo rendimento scolastico del proprio figlio, è una delle spie più importanti del processo di deresponsabilizzazione in corso da parte delle famiglie nei confronti dei loro figli. Non voglio generalizzare né apparire pessimista, ma dal mio osservatorio noto che la società moderna ha messo quasi tutti i genitori nella necessità di dover lavorare entrambi per sbarcare il lunario, con la conseguente impossibilità di seguire come vorrebbero e come purtroppo bisognerebbe fare i propri bambini. C'è un senso di colpa latente che porta a essere indulgenti e comprensivi verso questi ultimi, e invece i ragazzi hanno bisogno di confrontarsi e anche scontrarsi con gli adulti. E il calcio è uno strumento formidabile per intervenire su questo nuovo problema con cui abbiamo a che fare, perché non a caso si parla di disciplina sportiva: con delle regole, dei doveri oltre ai diritti. Fra le tante cose che insegna lo sport c'è l'autoanalisi, il confronto onesto con se stessi tramite il riconoscimento dei propri limiti e dei propri errori, di cosa si poteva fare meglio, senza ricorrere ad alibi o scorciatoie di qualsiasi tipo. È per questo che si dice, ed è una verità, che si cresce di più nelle sconfitte che nelle vittorie. Qui alla San Michele si è sempre insegnato questo, che lo sport praticato in modo consapevole consente di scontrarsi, individuare e riconoscere i propri limiti prima, per poi provare a superarli'.


Quindi completi lei: don Mario da lassù guarda la San Michele e..?


'Forse dice 'vu siete tanto bischeri!', come amava dire spesso a noi dirigenti della parte sportiva, quando ci osservava indaffarati e preoccupati per qualcosa. Ho la presunzione di dire che ci guarda ed è contento perché oggi, forse più che in altri momenti, la San Michele è affidata a un gruppo di persone vicine ai suoi valori con cui e su cui ha fondato la comunità'.


Lorenzo Martinelli Calciopiù


Foto di Fabio Vanzi