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Rondinella Marzocco, l'altra metà della cupola

Rondinella Marzocco, l'altra metà della cupola

Molto più della semplice seconda squadra di Firenze: da quasi settant'anni la Rondinella incarna lo spirito più profondo della fiorentinità


La pagina bianca si riempie in fretta mentre prometto a me stesso e idealmente ai lettori che non utilizzerò le seguenti metafore/espressioni: spicca il volo, migra altrove, torna sempre al nido, fa primavera. Quella che segue è una storia della Rondinella parziale e soggettiva, che prova a evitare cliché e luoghi comuni ricorrendo a interlocutori selezionati con cura.


Tre persone di due tipologie: chi ama per davvero e da una vita la Rondinella, chi l'ha resa nobile e iconica. Troppo grande l'affresco biancorosso per racchiuderlo in una sintesi: meglio concentrarsi sui particolari, mettere a fuoco la parte per il tutto. Dettagli che fanno la differenza e racchiudono in potenziale tutta l'energia dell'insieme; come - vedremo - la traiettoria di una monetina che atterra sul lato sbagliato, come quelle rondini di carta, attaccate alle pareti del bar Manlio a Porta San Frediano, su cui posarono lo sguardo i padri fondatori all'atto della fondazione. 'La chiameremo Rondine!' - torna utile a volte la mania tipica dei fiorentini di ricorrere a vezzeggiativi e diminutivi: ecco come nacque la Rondinella.


Dunque, la miglior tradizione fa sempre coincidere forma e contenuto. Firenze conosce perfettamente da secoli la validità dell'assunto e non se ne è discostata, neanche quando si è trattato di declinarlo dal punto di vista sportivo. E allora, da una parte c'è il giglio, dall'altra la rondine. Il primo, cucito su campo viola, rappresenta eleganza e stile del capoluogo. La seconda, ritratta in silhouette su sfondo biancorosso, ne incarna al meglio la garrula vivacità e l'imprevedibile ironia. E se fosse la Rondinella, più della stessa Fiorentina, a incarnare il genius loci della fiorentinità? Una risposta, con buona pace di chi già invoca l'eresia, proviamo a darla alla fine, ma intanto, collateralmente a questo tema, si può sviluppare una riflessione interessante, che va tuttavia stemperata nella sua formulazione perché fra il giglio e la rondine, in riva all'Arno, non vi è contrapposizione ma complementarità. Ben oltre l'ovvio, rappresentato dal fatto che quella viola è da più tempo la prima squadra di Firenze. La Rondinella è però figlia legittima e prediletta del rione più verace del capoluogo, San Frediano, fu tenuta a battesimo all'ombra dell'omonima Porta, in quel torrino di Santa Rosa che da decenni custodisce all'interno delle sue pietre tardomedievali quella sfuggente, immateriale cifra stilistica dell'essere fiorentini.


Indipendentemente dalle categorie, che mutano fin troppo spesso nel tempo accelerato del calcio, è con orgoglio la seconda squadra di Firenze. E, al tempo stesso, quella più vicina alla sua essenza laicamente spirituale. A proposito di metafore: Luigi Benvenuti, uno di quelli per cui da sempre la Rondinella è molto, ma molto di più della squadra da seguire quando la Fiorentina gioca in trasferta, sostiene di aver seguito i biancorossi a ogni altitudine calcistica, 'sia in paradiso sia all'inferno'. Ma non usa una metafora quando definisce il senso più profondo di quello che è riuscita a diventare, per tanti, la Rondinella - 'Un amore senza mezze misure: di quelli in cui prendere o lasciare. È così anche per il calcio cosiddetto minore, quello più povero. È il più sanguigno, vero e autentico, ma per capirlo appieno occorre amarlo incondizionatamente'. Ecco, l'aggiunta finale, per quanto mi riguarda, ha dignità di essere eletta a manifesto.


Questo calcio qui, quello su cui si è srotolata la storia della Rondinella, odora ancora di clorofilla e non di poliuretano e fibre sintetiche, di erba vera e non di manti in sintetico. Ha il sapore di un Caffè Borghetti che riscalda le budella, in una domenica d'inverno in cui il sole cala presto dietro le sagome dei palazzi delle Due Strade. È il calcio di Luigi Benvenuti e Pietro Lista, tifosi, consiglieri, collaboratori, innamorati della Rondinella, due cuori biancorossi come pochissimi altri, due che snocciolano una formazione qualsiasi della Rondine con la precisione di uno Zoff, Gentile, Cabrini e la dedizione con cui si ripeteva ad alta voce alla maestra una poesia di Leopardi, imparata a memoria. Per entrambi, la vista della Rondine provoca le farfalle nello stomaco, è amore a prima vista, l'amore di una vita intera.


Ci si ricorda tutto del primo appuntamento, dal colore dei vestiti alla mattonella su cui abbiamo strappato il primo bacio; Benvenuti ricorda tutto, di quella prima volta «stagione 68-69, Rondinella-Forte dei Marmi, stadio militare Ridolfi, risultato finale 1-0. E da lì in poi non ne ho persa una». Nominare la Rondine e rievocare quella prima volta trasforma Benvenuti in un fiume in piena; no, non se n'è persa neanche una in cinquant'anni, e non ha mancato certo gli appuntamenti della Rondine con la storia, come in occasione di ogni promozione, fino alla C1, ma anche al seguito delle giovanili, perché sono pezzi di storia, ad esempio, anche quei due scudetti Juniores Nazionali vinti nel biennio 65-66 «L'ossatura di quegli Juniores, i vari Valcareggi e Nesi, vinsero poi il campionato Promozione con la prima squadra nel 68-69» tiene a precisare Benvenuti, che poi aggiunge «I giovani ci hanno regalato altre gioie, come il terzo titolo giovanile, il campionato Berretti vinto dalla squadra in cui militavano Alfredo Aglietti e Maurizio Rossi. Sa che quei ragazzi lì, quegli Juniores che vinsero lo scudetto nel '66, furono chiamati in blocco in Nazionale Dilettanti e parteciparono a un torneo alle Canarie?».


Meglio di un almanacco stampato, Benvenuti fa da guida attraverso le pieghe del tempo ricordando con precisione svizzera ogni gara significativa, abbinandola a una data, a un aneddoto - «Febbraio 1984, secondo anno di C1, gol di Domini e Calonaci, di De Ponti per il Bologna: li battemmo in casa per 2-1». E poi ci sono i campi: lo stadio Militare, quello del Galluzzo, il Franchi, le Due Strade, fino al Don Vittorio di Ponte a Greve. A proposito, chiediamo a Benvenuti, qual è la vera casa della Rondine? «Se si parla di casa quella della Rondine è da sempre il Torrino di Santa Rosa, a San Frediano. Se poi parliamo di campi allora è quello delle Due Strade, il campo del Marzocco, inaugurato nella stagione 78-79, quella della promozione in C2, con un'amichevole contro la Fiorentina». Ecco, a proposito: il giglio e la rondine. Due metà della cupola? Ancora Benvenuti - «Per tanti anni fra Fiorentina e Rondinella c'è stato un rapporto di collaborazione a distanza, le proprietà di entrambe avevano a cuore Firenze e abbiamo assistito a diversi scambi di giocatori, soprattutto a livello giovanile. Firenze merita due squadre nei professionisti? Certamente sì, ma le dimensioni contano e qui non siamo né a Roma né a Milano, mentre il caso Verona appare isolato».


Da Benvenuti a Pietro Lista, sotto il vessillo biancorosso, il passo è breve. Anche lui tifoso innamorato di una vita, anche lui consigliere - «E magazziniere, tuttora» - aggiunge con orgoglio, della sua amata Rondine. Al pari dell'altro, anche nel suo cuore sono scolpite data e fotografia ideale di quella prima volta in cui posò gli occhi su quella che sarebbe divenuta la passione di una vita: «Avevo quindici anni, era il 1962, giocavo nella Pro Firenze e andai a vedere una gara della mia società contro la Rondinella, al campo dei ferrovieri, campionato Promozione». La scintilla scocca subito dentro Lista che a San Frediano ha trovato aria di casa e nella Rondinella un motivo per segnare di rosso tutte le domeniche del calendario. Corona un piccolo sogno quando suo figlio veste la maglia delle giovanili biancorosse, un altro ancor più grande quando Miro Morandi - l'allenatore che secondo la pagina Facebook 'La storia & i tifosi della Rondinella' guidò 'una delle Rondinelle più divertenti e gagliarde di sempre' - lo volle con sé nel ruolo di magazziniere. Erano gli inizi degli anni Novanta e da allora Pietro Lista non si è più perso una partita «Non importa la categoria, seguo la Rondinella come se giocasse ogni volta una gara di Champions League» ammette soddisfatto, elencando poi a sua volta tutte le tappe più significative della storia biancorossa, senza omettere ovviamente gli scudetti Juniores e Berretti, concordando con Benvenuti sulla grande passione e l'attaccamento con cui i tifosi della Rondine hanno sempre seguito le formazioni giovanili e le promesse cresciute in casa.


Con la sua ideale fisionomia slanciata e longilinea la Rondinella sembra lontana dallo stereotipo del calcio gladiatorio, ma Lista ci svela che la sua squadra, negli anni, ha saputo anche calarsi la visiera dell'elmo e scendere in trincea, quando ce n'è stato bisogno: «Specialmente durante gli anni della serie D abbiamo affrontato delle autentiche battaglie sportive su molti campi. Me ne ricordo una in particolar modo, a Foligno nella stagione 98-99. Era la penultima di campionato, in panchina avevamo Paolo Indiani, loro la misero sulla rissa fin da subito ma vincemmo 2-1. Con noi giocavano Leonardo Semplici, Marco Baroni e un giovanissimo Andrea Barzagli, appena diciottenne. A fine gara ci fu l'invasione di campo dei tifosi di casa e la situazione degenerò».


Talmente tanto da meritarsi un servizio di Striscia la notizia, di cui si trovano ancora oggi tracce in rete. Da rivedere, anche perché presentandolo Gerry Scotti definisce toscane le due squadre contendenti per poi rientrare in onda dopo il servizio dell'inviato con il consueto sketch dei capelli arruffati e una pronta correzione del refuso commesso in precedenza 'ho detto due squadre toscane, ma una l'era toscana, l'altra l'era umbra, i' Foligno'. Tolta tuttavia questa occasione poco edificante, la Rondinella nel suo periodo d'oro durato fino a inizio Duemila ha saputo assurgere agli onori delle cronache soprattutto grazie ai suoi successi. E chissà cosa sarebbe accaduto se, come ricorda Pietro Lista, quel 20 maggio 1984, le cose fossero andate in modo diverso «In quella partita, la trentaduesima della stagione, sfiorammo la storia così da vicino come probabilmente mai accaduto. Vincevamo in casa per 2-1 contro la Carrarese ma fummo raggiunti sul pari su calcio di rigore. Quel punto ci costò caro perché chiudemmo sì il campionato di C1 con uno strepitoso settimo posto finale, ma arrivando sesti avremmo guadagnato la possibilità di disputare la Coppa Italia nella stagione successiva. Se lo immagina? Dicono che ci sarebbe potuta toccare la Juventus..»


Benvenuti ha seguito la Rondine sia in paradiso - perché se parti da un bar di San Frediano e arrivi in C1 oggettivamente lo sei - sia all'inferno, perché se parti da un bar di San Frediano e arrivi in paradiso ti meriti un lungo credito con la fortuna, e non di sprofondare fino alla terza categoria. Non potrebbero non esserci lacrime e delusione in una storia, come quella della Rondine, che riassume in sé tutto il caleidoscopio delle emozioni, e sono quelle che riempiono gli occhi dei tifosi negli anni successivi al 2005. L'amore non salverà il mondo, ma può salvare la Rondine e così è avvenuto, come sottolinea Pietro Lista «Persone come Stefano Volpini e i tifosi della vecchia guardia, lo stesso avvocato Federico Bagattini hanno semplicemente salvato la Rondinella, dimostrandole grande amore. Hanno arrestato la caduta della società, permettendole di riprendere quota; adesso abbiamo finalmente un nuovo orizzonte futuro e nuovamente la possibilità di pensare e sognare in grande grazie all'impegno e alla professionalità della nuova presidenza». Anche Benvenuti entra in risonanza con quanto appena detto; in lui c'è molto oltre i numeri delle date e le emozioni che il ricordo di queste evocano; c'è spazio anche per una riflessione finale quasi metafisica «La Rondinella per me è un'idea di libertà, di inafferrabile capacità di librarsi sopra tutto e tutti. L'ho seguita dappertutto e a ogni altitudine, dalla C1 alla Terza categoria. E finalmente, dopo anni difficili, rivedo nella nuova proprietà del presidente Lorenzo Bosi quella passione abbinata a progettualità con la quale la Rondinella può tornare verso i cieli in cui merita di librarsi».



Con l'immagine di un possibile schiudersi di ritrovati orizzonti futuri possiamo mettere un punto a questa storia dichiaratamente fin dall'inizio parziale e soggettiva. Ma l'ultima istantanea, abbinata a una riflessione - sempre ovviamente soggettiva e parziale - che mi rimane in testa prima di firmare in calce, sono quelle rondini di carta, appese alle pareti di un bar di San Frediano in quell'estate del 1946, rimanenza del precedente carnevale, un avanzo di festa. Quasi una profanissima sindone di quello che è il carnevale, nel suo spirito antico e nella sua essenza primigenia: una festa popolare temuta dai nobili e dall'autorità costituita, in cui si sovverte l'ordine sociale, perché sotto la maschera di Arlecchino, si può nascondere tanto un signore quanto un contadino. Piccola violazione della promessa iniziale: quanto assomiglia a un lungo carnevale il volo della Rondinella.



Renzo Melani, ovvero colui che portò la Rondine nei cieli delle aquile


Quando qualche anno fa a tifosi e dirigenti storici della Rondinella fu chiesto di indicare quale fosse l'allenatore simbolo di tutta la parabola biancorossa, il suo nome fu espresso praticamente con un plebiscito. Con cinque campionati vinti, è fra gli allenatori più vincenti della storia della serie C. La sua carriera, prima da calciatore, poi da allenatore, dirigente e osservatore, inizia attorno ai primi anni Sessanta, rendendolo il più longevo tesserato della Figc. 'Enzo, io e te dobbiamo parlare' - disse nell'inverno del '68 a un certo Enzo, di cognome Bearzot. Lui invece è Renzo Melani, uno di quelli che ha fatto la storia del nostro calcio, intrecciando indissolubilmente il suo nome con quello della Rondine.


Mister, lei ha dei nipoti?


«Ben tre: due maschi e una femmina».


Quando li ha tenuti sulle ginocchia cosa ha preferito raccontare loro: la storia di quella strepitosa scalata fino alla C1 o quella della monetina che atterra sul lato sbagliato?


«Quando ne vale davvero la pena, ed è il caso in questione, una storia la si racconta per intero, fin dall'inizio».


A proposito: nel 1973, come diventò allenatore della Rondinella?


«Era estate, mi ero da poco sposato e quell'anno avevo più di una mezza parola per diventare allenatore del Pontedera, ma le dimissioni del presidente fecero sfumare l'accordo. Dissi a mia moglie che potevamo partire per il mare e, ricordo bene, mentre stavamo preparando le valigie suona il telefono di casa. Era il presidente Brunetto Vannacci. Mi disse - 'quanto vuoi per venire ad allenare la Rondinella?'. Ricordo che mi sorprese un po', gli dissi che prima che dei soldi avrei preferito parlare di persona per conoscerlo, e dopo poche ore ci incontrammo al Torrino di Santa Rosa. Misi la mia firma sul contratto dopo un lungo confronto con il presidente, e subito dopo mi accorsi di essermi accollato una scommessa davvero tosta».


Perché?


«La squadra era appena retrocessa sul campo e poi ripescata in serie D ma molti giocatori se ne erano andati e la rosa era praticamente da ricostruire ex novo. Iniziammo la preparazione fra mille difficoltà, ci presentammo a Gubbio, per la prima di campionato, con dieci calciatori più un undicesimo che era un ragazzo che non aveva mai giocato a calcio e che poi non avrebbe più rigiocato. Sistemammo le cose pian piano, settimana dopo settimana, la rosa arrivò a sedici giocatori e, dopo tre anni in cui la Rondinella aveva navigato nei bassifondi salvandosi sempre per il rotto della cuffia, chiudemmo quel campionato al settimo posto».
Viste le premesse iniziali, quasi un campionato vinto.
«Può dirlo forte. Mi riconfermarono e l'anno dopo ritoccai la squadra con alcuni innesti che indicai alla dirigenza e finimmo il campionato sul podio, dopo un cammino sempre ai vertici della classifica. A quel punto mi presi una pausa, e lasciai la Rondinella».


Una pausa temporanea, prima del ritorno trionfale. Dettata da quali motivazioni?


«Parliamoci chiaramente: sentivo di aver fatto il massimo perché la Rondinella a quell'epoca era una società che si basava sull'attività di un circolo, viveva sulla tombola, oltre che ovviamente sull'instancabile impegno di alcuni dirigenti, su tutti il presidente Vannacci. Portarla ai vertici della serie D era già un'impresa e accettai allora la chiamata del Viareggio. In Versilia però le cose non funzionarono, e quando la Rondinella mi richiamò, tornai a Firenze con un progetto biennale».


Il secondo matrimonio durò poi sei anni. E furono sei anni semplicemente indimenticabili per la Rondinella. Se la D le sembrava già tanto per quella società, chissà come si sarà sentito quando la portò per mano fino alla C1.


«Per ricordare al meglio quel periodo basterebbe che tirassi fuori un numero de La Gazzetta dello Sport che conservo gelosamente, in cui campeggia il titolo 'La Rondinella di Melani meglio della Juve di Trapattoni e Platini', perché in quattro anni facemmo più punti dei bianconeri».


L'hanno definita infatti il Trapattoni della serie C, e guardando il suo palmares il parallelo ci sta tutto. Torniamo a quegli anni: gioie e promozioni, ma anche qualche delusione. Il sorteggio per stabilire la promozione in C nel 1978: non vuol proprio parlare di quella monetina?


«Ci mancherebbe, certo che ne parlo. Sia chiaro però, ricordo bene che lasciando il campo dissi a tutti che io e la squadra avevamo fatto il massimo, da quel momento in poi sarebbe stata una questione di fortuna o sfortuna, tutto dipendeva da come si sarebbe girata quella monetina. Ma fu quasi una benedizione quello spareggio perso al sorteggio'.


Prima di dirmi perché ricordiamo che nel 1978, il secondo anno dal suo ritorno in biancorosso, la Rondinella perse lo spareggio promozione contro il Viareggio. A quei tempi si tirava ancora per l'aria una monetina, e fu l'arbitro Pairetto di Torino a farlo, in quel Viareggio-Rondinella giocato a Pontedera che finì 1-1 al 120'.


«Fu indirettamente una fortuna perché sono sicuro che se fossimo saliti quell'anno in C2 a dicembre saremmo stati già retrocessi: la società non era pronta per quel salto. Invece nella stagione successiva conquistammo la promozione dalla D e quella ancoradopo, 78-79, ottenemmo anche la promozione in C1 ma il ricorso dello Spezia per un presunto illecito promosse i bianconeri. Noi decidemmo ancora una volta di ripartire e provarci l'anno successivo».


Ecco, fermiamoci un attimo: mentre porta sempre più in alto la Rondinella, lei è artefice di un processo interno fondamentale che accompagna l'exploit sul campo. Cosa si intende quando si dice che lei riorganizzò la società dal di dentro?


«Effettuai alcune scelte che si rivelarono felicissime, in primis quella di invitare Pino Vitale a cessare l'attività sportiva e farlo diventare direttore sportivo, fare altrettanto con Berti e portarlo al mio fianco in panchina e agli allenamenti o mettere Rocco Pestuggia nel ruolo di osservatore».


Cosa intravide in Pino Vitale? Inutile evidenziare che ci vide bene.


«Anzitutto una grande personalità. Fuori dal campo, negli affari, era partito da un banco del mercato e aveva messo su una decina di negozi, mentre come giocatore era uno che si imponeva sugli avversari e guidava i compagni proprio in virtù della sua personalità. Mi ha aiutato tantissimo nella gestione dello spogliatoio, ci alternavamo nel ruolo del cosiddetto poliziotto buono-poliziotto cattivo. Sono legato a Pino da un'amicizia fraterna, lui mi considera un suo maestro ma io l'ho solamente incentivato a percorrere quella strada lì, di direttore sportivo. Ci sa fare come pochi con le persone e ha imparato alla svelta il mestiere, diventando un fuoriclasse. Tornando a quel periodo, sotto la presidenza Vannacci creammo uno staff eccezionale con cui nella stagione 80-81 chiudemmo il campionato al terzo posto con ben 47 punti dietro Casertana e Latina, un bottino che negli altri gironi di C2 ci avrebbe consentito di avanzare di categoria. La rotta però era segnata ed era orientata nella direzione giusta, tanto che la C1 diventò realtà l'anno dopo, nella primavera del 1982 con ben 47 punti».


E qui si entra nella storia. Come si sentiva al timone di una squadra a conduzione quasi familiare nel confrontarsi con le corazzate dell'epoca?


«Ha detto bene, erano delle vere e proprie corazzate: chi ha la pazienza di riprendere in mano gli archivi statistici noterà che quell'anno il campionato lo vinse la Triestina, secondo il Padova, terzo il Lane Rossi Vicenza, poi Parma, Brescia, Spal, Modena. Capite bene il livello di quel girone di serie C, e la Rondinella era un po' come il vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro, anche perché all'inizio rischiammo di farci male da soli».


In che modo?


«Una parte della dirigenza spinse per disputare le nostre gare interne allo stadio Artemio Franchi di Firenze e il risultato fu che girammo la boa dopo il girone di andata con dieci punti. Vannacci no, era convinto come me che dovessimo giocare alle Due Strade e a Natale, quando ormai ci davano tutti per retrocessi, tornammo sul nostro campo, alle Due Strade. Da lì in poi ottenemmo venticinque punti nelle restanti giornate, gli stessi della Triestina che poi chiuse al primo posto. Ci salvammo vincendo per tre a uno contro il Modena, in un'ultima di campionato in casa davanti a migliaia di spettatori. Mentre lasciavo il campo fra mille festeggiamenti, che poi proseguirono anche la sera, maturai nuovamente la convinzione che era venuto il momento di salutare la Rondine. E a cena lo comunicai a tutti. Chiusi dieci anni splendidi e non avevo un'altra squadra dove andare. Ma presto arrivò la chiamata del Livorno e l'anno successivo fu un'altra stagione entusiasmante per me perché vincemmo il campionato imbattuti con il primato di soli sette gol subiti».


Da quel 1983 ha più incrociato sul campo la Rondinella?


«Qualche anno più tardi, quando allenavo la Lucchese: vincemmo 1-0 ma non c'era più Vannacci e molte cose erano cambiate rispetto a prima».


Fra tutte le maglie che ha indossato, che posto ha nel suo cuore quella biancorossa?


«Per me la Rondinella significa l'inizio, il primo amore, il mio ingresso nel mondo del calcio. Quel giorno in cui accettai l'incarico al Torrino di Santa Rosa davanti al presidente Vannacci probabilmente feci una pazzia, ma è così che si fa in amore. Molti ritengono che sia una persona che calcola e pondera ogni scelta, non è sempre così e quindi ripeto: accettare quella scommessa fu un salto nel buio, non c'erano basi ma c'era una garanzia, che però avrei scoperto solo dopo, nel tempo. Quella del presidente Vannacci. La Rondinella gli deve tantissimo».


Vannacci come presidente simbolo, lei come allenatore più vincente della storia biancorossa, fra i giocatori chi scegliamo per la hall of fame della Rondine?


«Due capitani: nella prima fase Carlo Nesi, poi Enrico Maccanti».


Melani che porta la Rondinella nella storia, Melani che incrocia la storia: ci parla di lei e di Enzo Bearzot?


«Anni prima di arrivare alla Rondinella ero a Prato, avevamo un problema con l'allenatore della prima squadra, dissi che l'avrei tenuta per un po' ma che serviva un altro perché avevo anche altri impegni, come l'insegnamento a scuola la mattina. La dirigenza aveva una rosa di tre nomi, fra cui quello di Bearzot, che fu scelto. Arrivò e all'inizio notavo in lui un po' di diffidenza e sospetto nei miei confronti. Intuii che si era fatto un'idea sbagliata, si era generato un fraintendimento perché la decisione di cercare un altro allenatore era partita da un mio volere. Così una sera lo presi da una parte e lo invitai a parlare chiaramente. Fu molto bello, perché si aprì tantissimo, confidandomi degli aspetti intimi e personali che mi colpirono. Da lì in poi nacque un bel rapporto: quando il martedì lui restava a Milano, io gli allenavo la squadra. Ci siamo tenuti in contatto ed è stato un bel regalo quando mi portò con sé e la Nazionale in trasferta per una partita in Irlanda».


Che tipo era il vecio? E poi: Bearzot era davvero un difensivista come lo dipingono?


«All'apparenza e all'inizio di un rapporto un po' scorbutico, ma poi si rivelava in tutta la sua bontà. Era un uomo di una dirittura morale incredibile; non era un sergente di ferro, chiedeva rispetto ovviamente ma sapeva creare empatia con la squadra che allenava. Si metteva petto in fuori a protezione dei suoi giocatori, idealmente affrontava lui per primo gli avversari. E tatticamente era piuttosto evoluto e innovativo, non era assolutamente un difensivista. Pensate al gol di Tardelli, quello dell'urlo per capirci: un'azione partita da Scirea e finalizzata da un terzino che si proietta all'attacco. Oppure non scordiamoci che le sue squadre, inclusa la Nazionale campione del Mondo nell'82, giocava con due attaccanti, un tornante e un trequartista. Il fatto è che non ha goduto della simpatia di buona parte della stampa dell'epoca, che non gli perdonò la mancata convocazione di Pruzzo e Altobelli. Ma la storia è dalla sua parte».


Come si sente a essere il tesserato più longevo della Figc?


'Il calcio è vita, e mi ha mantenuto in ottima salute'.



Una breve cronistoria


1946 Nel luglio di quest'anno viene fondata la Rondinella, Luigi Mochi è il primo presidente. La squadra milita inizialmente in Seconda categoria.


1953 Il Torrino di Santa Rosa diventa la sede ufficiale del club che nel frattempo ha raggiunto la Promozione.


1963 Giunta fino alla categoria Interregionale, la Rondinella si fonde con il G.S. Marzocco dando vita all'A.C. Rondinella Marzocco Firenze.


1979 Dopo dieci anni di militanza ad alto livello in quella che sarebbe l'attuale Serie D, la Rondinella Marzocco conquista il secondo posto finale nel girone D e sale in C2.


1982 Già da tre anni alle Due Strade, la squadra biancorossa chiude al secondo posto il girone C di C2 e viene promossa nella serie superiore. Nella stagione 83-84 arriva il settimo posto finale nel raggruppamento A di serie C1, il miglior piazzamento della storia.


1997 Retrocessa nel '90 fra i Dilettanti, la Rondine naviga nelle acque della Serie D fino alla retrocessione in Eccellenza. Nel 1997 avviene la fusione con l'Impruneta Tavarnuzze, che dà vita alla Rondinella Impruneta Srl.


1999 Il primo posto nel girone E promuove la Rondinella Impruneta di nuovo fra i professionisti in C2.


2002 La retromarcia in D coincide con un nuovo cambio di denominazione in Rondinella Firenze Srl. Un anno dopo eccone un altro: nasce l'A.C. Firenze Calcio Rondinella Spa, l'anagrafe si satura nel 2005 con l'ennesimo mutamento in A.S. Rondinella Calcio Srl.


2009 Scesa di quota fino alla Promozione, la società dichiara fallimento; il suo titolo sportivo e la sua struttura tecnica vengono rilevati dal San Frediano Rondinella Ssd.


2012 È probabilmente il punto più basso della storia biancorossa: dopo un altro fallimento la Rondine viene scaraventata in Terza categoria, ad arrestare la caduta è l'affetto dei tifosi che fondano L'Asd Vecchia Guardia Rondinella Marzocco.


2015 Tornata in Seconda categoria, la Rondinella ritocca ancora una volta la sua denominazione.


2016 La fusione con il Ponte a Greve fa nascere l'Asd Ponte Rondinella Marzocco ed è prodromica all'attuale Rondinella Marzocco. Al momento dello stop dell'attività causa Covid, i biancorossi erano impegnati nel campionato Promozione.



Lorenzo Martinelli Calciopiù