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Calciopiù: il ricordo di Paolo Rossi

Calciopiù: il ricordo di Paolo Rossi

Me la ricordo bene. Pur essendo poco più di un bambino, quella partita me la ricordo come se fosse adesso, vista nella stanzetta dei giochi assieme ai miei fratelli, appiccicato alla televisione. Italia-Brasile al Sarrià di Barcellona del 5 luglio 1982. Un incubo per i sudamericani (la tragedia!), un segnale di rinascita per noi. Certo, veniamo dalla vittoria sofferta con l'Argentina (dopo i tre pareggi della prima fase e le contestazioni con relativo silenzio stampa), ma il pronostico è tutto per i verdeoro.


D'altronde chi può superare quella corazzata con Falcao, Eder, Socrates, Cerezo, Zico e chi più ne ha più ne metta? Poi noi non segniamo mai. Chi abbiamo in attacco? Quello lì, quello magrolino che non vince mai un contrasto, quello sempre rotto, fermo da due anni per il calcioscommesse. Ma Bearzot ha perso la testa (vox stampa): non ha chiamato bomber Pruzzo (capocannoniere del campionato) per portare Paolo Rossi (riferendosi all'86 Venditti lo chiamerà un ragazzo come noi). Sì, quattro anni prima ai mondiali in Argentina è stato bravo, ma ora. Guarda un po', ha giocato un paio di partite con la Juve al suo rientro e ora? Titolare ai mondiali! Poi l'arbitro Abraham Klein, israeliano, fischia l'inizio ed è subito emozione vera.


Il Brasile fa subito intendere che non si accontenterebbe certo di un pareggio per passare il turno, partendo subito all'attacco. Invece, dopo cinque minuti di gioco Cabrini manda un lungo traversone in area per Rossi che colpisce di testa e ci porta in vantaggio. La gioia (o meglio, l'illusione) dura davvero poco perché al 12' Socrates, servito da Zico (quanti calci da Gentile!), infila tra il palo e Zoff. Nonostante il Brasile sia virtualmente qualificato per la semifinale, continua a tentare di portarsi in avanti. Al 25' Pablito approfitta di un passaggio orizzontale di Cerezo e batte Valdir Peres. Ragazzi, state a vedere che il Vecio (Bearzot) ci ha indovinato. La formazione di Tele Santana spinge forte e ci prova con Eder (che mancino!) e Cerezo.


Poi al 23' l'ottavo re di Roma Falcao manda al bar tutta la difesa azzurra e segna con un sinistro dal limite. Peccato, ci abbiamo provato! Dopo un intervento di Zoff in anticipo su Paolo Isidoro, al 74' l'Italia ottiene, grazie a un retropassaggio di testa da parte di Cerezo, l'unico angolo a favore della partita. Dalla bandierina va Conti: il tiro è intercettato di testa da Oscar e finisce sui piedi di Tardelli sul cui tiro si fionda Pablito, che realizza sotto misura.


Non è possibile, nessuno di noi ci crede ancora. Tanto il Brasile è forte, come fa a non segnare di nuovo? Al di là del quarto gol azzurro di Antognoni (poi annullato, ma non segna Rossi e quindi..), ricordo con nitidezza la gran parata del mito Dino Zoff sul colpo di testa di Oscar allo scadere. Al fischio finale una nazione è in festa, un'altra nel dramma. È l'Italia che va.


Potrei fermarmi qui, ma non posso non ricordare ancora la semifinale con la Polonia e la doppietta di Pablito (memorabile il raddoppio di testa inginocchiandosi sul cross di Conti) e la rete (sempre di testa, ma non piccolino?) che apre la finale con la Germania.


Non posso non ricordarlo poi sorridente ed esultante con la Coppa in mano. E non posso non ricordare il Pallone d'oro. E non posso neppure dimenticare come pochi anni dopo sia tornato un ragazzo come noi. Ciao Pablito e grazie di tutto


Leonardo Ruini




Ci manchi già tanto


Che sia il 2020 un anno orribile lo avevamo capito da tempo, ma la lunga scia di lutti non si ferma più. Ora piangiamo Paolo Rossi, campione del Mondo, capocannoniere del mondiale 1982, i tanti successi ottenuti con la maglia prima del Lanerossi Vicenza guidato dal gentiluomo Giovambattista Fabbri che lo imposta centravanti e poi della Juventus e con la Nazionale di Enzo Bearzot. Dallo scandalo del calcioscommesse quando giocava nel Perugia con l'inattività di due anni ai mondiali 1982, quelli dell'apoteosi.


Una carriera velocissima e bellissima, contrassegnata da quella storica vittoria con il Brasile e dai tre gol fatti da lui contro i verdeoro. Campioni del Mondo in Spagna! Il Pallone d'Oro a Paolo Rossi.


Paolo nato a Prato, calcisticamente da Rodolfo Becheri, il numero uno del Santa Lucia, avvezzo a crescere campioni, da Giancarlo Bini, il suo primo allenatore che lo convince ad andare a giocare a calcio in una squadra, dagli appassionati in prima fila Ruggero Rotella, il dott.Payer e altri. Poi sempre a Prato, Paolo gioca un anno sotto l'ala protettiva di Moreno Cambi alla mitica Ambrosiana. Ecco il passaggio alla San Michele Cattolica Virtus dove viene allenato da Pierone Colzi.


E poi il gran salto a livello nazionale. Vicenza, la sua Vicenza, che lo accoglie come un figlio, dove passa in prestito dalla Juventus. Furbo, intelligente, veloce, capace di sentire la porta, Paolo e la Juventus. Paolo e la Nazionale. Classe 1956, una carriera che si conclude, per gli infortuni al ginocchio, sulla trentina. Apprezzato commentatore calcistico,


Paolo rimane come protagonista in un mondo in cui vive, senza eccessi, in maniera normale. Prato lo piange, Vicenza è triste, l'Italia calcistica e la nostra generazione non possono che ricordarsi quella storica vittoria di cui Paolo è stato il principale protagonista. Che la terra ti sia lieve, Pablito!


Alessio Facchini



Santa Lucia, terra di bomber.


La frazione pratese ha dato i natali, e non solo calcistici, a Paolo Rossi, negli anni successivi a Bobo Vieri dall'Australia e Alino Diamanti. Il mitico e compianto presidente Ruggiero Rotella e Rodolfo Becheri avevano fiuto per scoprire certi piccoli giocatori. Nel suo Santa Lucia, in tinte rosse, hanno giocato Paolo Rossi, Vieri, Diamanti e tanti altri come Rossano Rossi.


Doveroso ricordare l'apporto che ha dato il presidentissimo Rodolfo Becheri alla crescita di campioni di calcio nel nostro paese. Doveroso sapere che Rodolfo ha fatto tutto senza secondi fini e pagando il prezzo di fare il presidente mettendoci di tasca, come si dice.


Quel Santa Lucia, quello di Paolo Rossi, era il Santa Lucia di Luciano Diamanti, di Claudio Lanzi, di Giancarlo Bini, di Ruggero Rotella, del dott. Payer e di altri dirigenti ma soprattutto era il Santa Lucia di Rodolfo Becheri. Del presidente Rodolfo Becheri. Una giusta puntualizzazione. Prato era casa sua, lo ricordò a gran voce anche al ritorno dal Mundial '82.


Il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, ha invitato tutti gli abitanti di Prato 'a ricordare Paolo Rossi mettendo sui propri balconi e alle proprie finestre una bandiera italiana, esattamente come in quella splendida estate'.


A Prato Paolo Rossi era nato il 23 settembre 1956 e il Comune ha proclamato il lutto cittadino per lo scorso sabato, il giorno dei funerali. La città laniera intitolerà poi lo stadio Lungobisenzio (paradossale il fatto che da anni nessuno ci giochi per l'inagibilità prima e per dispute legali poi) a Paolo Rossi.


Dopo l'idea di alcuni consiglieri comunali, ora c'è da seguire un iter che non dovrebbe conoscere particolari ostacoli ma che richiede comunque alcuni giorni per il suo completamento.


Alfa



Emozionato come pochi, quasi come se avesse perso un figlio, Piero Colzi ci racconta un altro spaccato della crescita di Paolo Rossi nella carriera calcistica. Ma quello che lo mette in crisi è il ricordo dell'uomo e non dell'atleta.


Con voce tremante per l'emozione ne tesse le lodi umane.


Quando ha avuto i primi contatti con Paolo Rossi?


Ho avuto la fortuna di allenarlo quando dall'Ambrosiana passò alla Cattolica Virtus (grazie all'aiuto di Moreno Cambi, dirigente e tecnico pratese). Arrivò assieme a Massimo Brutti e a Donati. Era un ragazzo mingherlino che potevo seguire tantissimo grazie alla disponibilità di tempo che il mio lavoro mi permetteva. Ho allenato Paolino sia negli Allievi che negli Under.


Le doti si intravedevano già da ragazzo?


Era un giocatore superiore alla media. Rivedendo tutti i film che passano in televisione, adesso ricordo che tutte le movenze che mostrava in partita le faceva già in categoria giovanile. Io di natura sono molto deciso e rispondevo alle critiche di altri addetti ai lavori esaltandolo. Lo dicevo: andrà sulle figurine. Ho indovinato io, ma vedendolo era impossibile non ammirarlo.


Che rapporti aveva con la famiglia?


Con il tempo ero diventato amico del padre Vittorio e poi ho allenato anche suo fratello Rossano che approdò alla Juventus.


Ci racconta un aneddoto?


La Cattolica lottava sempre per tutti i campionati e vincemmo il Regionale nel '72; approdammo a Vietri sul Mare per la finale nazionale. Inserii Paolino nella lista dei '53-'54, quindi mettendolo a giocare con i ragazzi di due anni più grandi. Riuscii a portarlo anche grazie all'aiuto di Don Aimo Petracchi perché la dirigenza era piuttosto scettica. Perdemmo la semifinale ai calci di rigore, Paolino venne letteralmente massacrato dagli avversari, tanto che fui costretto a sostituirlo. In albergo piangeva, non per la delusione della sconfitta, ma per non essere riuscito a portare al termine l'incontro.


Le qualità calcistiche sono ben note, dal punto di vista umano che cosa ci può dire?


Era un ragazzo d'oro. Non ha mai dimenticato le sue origini. Avevo un grandissimo rapporto anche con suo padre Vittorio e tutt'oggi ce l'ho con Rossano. Mi ha fatto partecipe dei suoi successi, tanto che Paolino mi ha voluto in prima fila alla presentazione del film sulla sua vita qualche anno fa. Alla presentazione del suo libro, mi invitò addirittura a salire sul palco, consegnandomelo con una dedica: 'Al mio primo grande, inimitabile, inarrivabile allenatore. Con tanto affetto. Aprile 2015'. Quando presentò anche il secondo libro mi citò a pagina 73, esaltando le mie qualità di allenatore. Queste sono testimonianze che mi rimarranno nel cuore, per sempre.


Sapeva della malattia?


È stato un grande anche nella malattia, pur essendo legatissimo alla famiglia, ha cercato di nascondere il tutto e non mi ha fatto sapere nulla. Fino a quattro mesi fa ero davvero all'oscuro, poi è venuta fuori la triste verità. Ci sono cose che preferisco non raccontare per non amplificare la sofferenza ai familiari. Ha lottato come un leone e quando andava in televisione lo faceva prendendo farmaci per contrastare il dolore. Poi questo tremendo male ha preso il sopravvento e nell'ultimo periodo era impossibile anche solo contattarlo.




Non è stato il suo primo allenatore al campo di Viale Galilei a Prato (il mister era Giancarlo Bini con Ruggiero Rotella come presidente), ma ha visto comunque muovere i primi passi nel club biancorosso per poi iniziarne una frequentazione assidua anche fuori dal campo. Luciano Diamanti assieme al mitico Claudio Lanzi, genero del compianto presidente Becheri, ci racconta del Paolino bambino.


Come potrebbe descriverci Paolo? Quelli vissuti con Paolo sono ricordi indelebili. Era una persona eccezionale che faceva parte di una grande famiglia, persone sempre disponibili che non hanno mai dimenticato le loro umili radici. Paolo era legatissimo a Prato e a Santa Lucia in particolare. Il campo porta il nome di suo padre Vittorio e questo basterebbe.


Quando era all'apice della carriera si manteneva in contatto in qualche modo con il Santa Lucia?


Dire che rimaneva in contatto con noi è riduttivo. Non ha mai dimenticato né la frazione di Santa Lucia, né la società da cui è partito. Non perdeva mai l'occasione per onorarci della sua presenza quando possibile. Poi con Rodolfo Becheri, quando facevamo il torneo in memoria suo padre, cercava sempre di essere presente quantomeno per la serata delle premiazioni.


Prato ancora nel cuore quindi?


Ci mancherebbe. Viveva a Vicenza, ma si sentiva pratese e non perdeva occasione per farcelo sapere. Queste sono cose che ti rimangono dentro.


Prima Maradona, ora Rossi, un anno difficile per tutti.


Per me poi è un anno molto complicato. Ho perso quattro parenti (ricordiamoci di Rudi Carlesi, ndr) e non riesco poi a vedere mio figlio Alessandro (gioca in Australia, ndr) e i suoi marmocchi da oltre un anno. Finirà, io sono ottimista, finirà. E Paolino resterà sempre con noi.




Un grande rammarico viola


Allora direttore dei servizi sportivi della Nazione, Raffaello Paloscia era incaricato di seguire le vicende della Nazionale di calcio.


Lei era molto amico dell'ex allenatore della Fiorentina Ferruccio Valcareggi: le ha mai detto come mai il club gigliato non ha acquistato Paolo Rossi quando era ancora uno sconosciuto?


A quei tempi io e Valcareggi eravamo legati da un rapporto molto profondo e amichevole. Lui un giorno si sfogò con me dicendomi che aveva fatto di tutto per portare quel giovane ragazzo in maglia viola, ma invano. Il presidente della Cattolica Virtus, la squadra in cui Rossi giocava e segnava valanghe di gol, mi confidò che, nonostante avesse preferito vendere il giovane alla Fiorentina, era impossibile rifiutare l'offerta della Juventus di circa sei/sette milioni di lire, molto superiore rispetto a quella presentata dal club toscano. Posso affermare che, dopo aver visto Paolo Rossi all'esordio con la Nazionale nel dicembre del '77 a Liegi, la società gigliata avrebbe formato una coppia formidabile andando ad affiancare ad Antognoni quel ragazzo di Prato prelevandolo dal Vicenza. Purtroppo, per mancanza di soldi, quell'anno Pablito andò al Perugia: rappresenterà sempre un grande rammarico per la Fiorentina.


Lei è sempre stato molto vicino alla Nazionale: quanto è stato importante il contributo di Rossi alla causa azzurra?


Sicuramente Rossi è stato il vero e proprio trascinatore della nostra Nazionale nel corso dei mondiali di Spagna '82, il nostro uomo simbolo che, con tutta l'umiltà del campione vero, si è caricato sulle proprie spalle il peso dell'Italia intera. A essere onesti, però, reputo che la squadra avrebbe già potuto salire sul tetto del mondo durante i mondiali di Argentina '78. A mio avviso gli azzurri esprimevano un gioco meraviglioso, l'unica sfortuna è stata non avere un Antognoni a pieno regime: lui e Rossi -convocato all'ultimo momento- avrebbero fatto la differenza insieme guidando il gruppo alla vittoria finale.


Com'è nata l'amicizia con Paolo Rossi?


Tutto cominciò quando nel 1982 Bearzot decise di convocare per il mondiale Rossi e non il capocannoniere uscente della Serie A, Pruzzo. Un giorno ero ospite di un programma tv di un'emittente fiorentina, l'argomento di discussione del momento era proprio la convocazione di Paolo nonostante fosse rientrato da poco nel mondo del calcio a causa della squalifica per calcioscommesse. Uno spettatore del pubblico cominciò a inveire contro il padre del calciatore, chiamando quest'ultimo con epiteti sgradevoli e offensivi. Io, indignato da questo comportamento, mi alzai e presi le difese di Rossi dicendo che, colpevole o no, il ragazzo ormai aveva scontato la sua squalifica e aveva il pieno diritto di rappresentare l'Italia. Il giorno dopo ricevetti una chiamata proprio dal padre di Rossi che, emozionato, mi ringraziò infinite volte per aver preso pubblicamente le difese del figlio. Qualche settimana dopo, quando seguivo il ritiro della Nazionale a Coverciano, lo stesso Paolo Rossi venne a cercarmi e a ringraziarmi per le belle parole spese nei suoi confronti: da lì nacque un'amicizia pura e profonda. Il nostro legame era talmente forte che durante il silenzio stampa indetto per la semifinale del mondiale, Pablito veniva personalmente da me se aveva bisogno di fare qualche confidenza'.


Lorenzo Profili



Storico direttore responsabile di Tuttosport ed editorialista della Stampa, da sempre legato allo sport e alla Torino granata, Giampaolo Ormezzano racconta con piacere il suo unico contatto diretto con Paolo Rossi. «Purtroppo ho avuto la sfortuna di avere un colloquio così intimo una volta soltanto, nell'autunno del 1982. L'Adidas, grande sponsor della Juventus al tempo, decise di premiare Paolo Rossi come miglior giocatore del mondiale e io fui inviato da La Stampa per assistere alla cerimonia di Parigi. Mi incontrai con Pablito all'aeroporto ma, a causa di una fitta nebbia che rendeva rischioso il volo, sorsero delle complicanze. Quando tutto stava per saltare mi misi in contatto con una persona, ahimè, legata al mondo bianconero ma molto speciale per me: Giampiero Boniperti. Quest'ultimo mi comunicò l'urgenza di partecipare a questo evento e, contattando la Juventus per prendersi carico delle spese extra, mi chiese di trovare un qualsiasi volo che potesse trasportare me e Paolo fino in Francia. Grazie alla mia conoscenza con un capitano di volo chiamato Marchisio, riuscimmo a salire su un piccolo aereo privato a elica che sarebbe atterrato in un aeroporto minore di Parigi, a Le Bourget. Il viaggio fu ai limiti del soprannaturale, sembrava di viaggiare dentro a una bottiglia di latte e non nego che sia io che Paolo eravamo timorosi e in ansia. Per stemperare la tensione, approfittammo della nostra vicinanza per imbastire la nostra prima conversazione: lui mi chiese se, dopo aver preso il premio come miglior realizzatore del mondiale, si meritasse anche il premio di miglior giocatore. Io lo guardai e gli dissi sorridendo che, secondo me, aveva fatto sei gol toccando la palla sette volte, quindi sarebbe stata dura esprimere un giudizio. Lui mi guardò, ci pensò un po' su e poi ricambiò il mio sorriso dicendo: 'Guarda, facciamo che il pallone l'ho toccato dieci volte e ti do ragione'. Quel momento fu emblematico perché saggiai con mano l'umiltà e lo spirito autoironico di un grande campione, una figura che, con la sua normalità e semplicità, è entrata nel cuore di tante persone scrivendo in silenzio pagine di storia indimenticabili».


Lorenzo Profili



Vicino per carica istituzionale a Paolo Rossi, a lungo in Federazione, abbiamo chiesto a Innocenzo Mazzini di raccontarci Pablito alla sua maniera.


Per lei cosa ha significato la figura di Paolo Rossi?


Abbiamo perso un grandissimo campione, una grandissima persona e personalmente un grande amico. Lo so che negli epitaffi ci sono sempre lodi ed elogi per tutti, ma Paolo era così. Persona competente, piacevolissima, affettuosa e che aveva una tranquillità. Si comportava nello stesso modo con il Presidente della Repubblica come con l'ultimo dei barboni. Per lui tutti meritavano la stessa attenzione. È un esempio da tenere per come si intrattengono i rapporti sociali, improntati a una civiltà che forse negli ultimi anni abbiamo un po' perduto.


Che genere di campione era?


Lo potrei definire il campione della porta accanto. Aveva sempre l'atteggiamento giusto con grandissima tolleranza ed empatia con tutti.


Quando lo ha conosciuto?


L'ho conosciuto quando giocava nelle giovanili della Cattolica Virtus, ed era già un ragazzo splendido. Poi ha avuto la fortuna e la capacità di non cambiare nel tempo.


Quale era il suo lato migliore?


Come calciatore non si può discutere. Ma quello che non tutti conoscono è il lato privato e umano, indiscutibili. Un personaggio di una positività intensa e anche nella malattia è stato splendido, soffrendo in silenzio con grande signorilità, all'ennesima potenza per non potersi sfogare. Nascondere la malattia solo questione di privacy? No. Sarebbe stato sommerso d'affetto nella malattia, ma essendo un personaggio schivo non voleva nemmeno che le persone si preoccupassero per lui. Questo è Paolo.


Leonardo Ruini



Abbiamo telefonato all'ex attaccante, oggi allenatore, e compagno di camera di Paolo Rossi ai tempi della Juventus, Giuseppe Nanu Galderisi. Che cosa ricorda di Paolo? È sempre stata una persona di una bellezza incredibile. Io sono cresciuto con questi eroi, sognavo di diventare come Paolo Rossi sin dai 13-14 anni. Giocavo con la sua figurina e poi mi sono ritrovato ad allenarmi con lui. Trapattoni mi disse di stargli vicino, perché dovevo imparare da lui. Sono stato un'ombra, lui è stata la mia musa. Trapattoni ci mise in camera insieme dopo il Mondiale dell'82. Io feci sei gol quando non c'era, lui il campione del Mundial. Alla tragica notizia mi sono venuti in mente i suoi occhi, il suo sorriso, la sua allegria, la semplicità con cui faceva crescere un ragazzino come me, innamorato del calcio e con una bellezza umana incredibile. L'ho sempre inseguito, fino ai Mondiali del 1986. Oggi perdo una parte importante della mia vita, una parte di me se ne va con lui. Dopo il Mondiale del 1982 che Rossi trovò? Non mi aspettavo che il Trap mi mettesse in camera con lui, lui era sempre stato con Cabrini. Mi ricordo tutti i sacchi di posta che riceveva. Ho 'rubato' molto da lui e sono contento di averlo conosciuto. Sono cresciuto con lui, perdo un maestro di vita. Pochi o nessuno erano al corrente che fosse malato. Sapevamo in pochi che stava passando un periodo difficile, ma si crede sempre che le cose possano migliorare e invece. Lei è stato con lui nel Mondiale del 1986. Che Pablito era? Ho giocato tutte le partite al suo posto. Lui però era sempre vicino a darmi consigli, ad aiutarmi, a sdrammatizzare quando non ero contento per quello che facevo. Prendeva sempre il lato ironico di questo gioco, si vedeva che non era alla ricerca del colpevole, ma era umile e semplice. In campo non gli mancava mai il sorriso, poi aveva un'intelligenza calcistica pazzesca, era sempre al posto giusto al momento giusto. L'ha mai visto discutere con qualcuno? Quando si arrabbiava, anche nello spogliatoio o in ritiro, non ci credeva nessuno. Non rientrava nel suo dna. È stato trattato malissimo in un periodo della sua vita. Mi ricordo il 1982, quando tornò a giocare le ultime partite prima del Mondiale. Ricordo la mia gioia quando entrò a Udine e si riprese il suo 9, mi ricordo l'abbraccio dopo il suo gol. Tutti gli volevamo così bene che volevamo che cambiasse il suo destino. E l'ha cambiato, e non di poco.


L.R.