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Amarcord Calciopiù : Federico Bernardeschi

Amarcord Calciopiù : Federico Bernardeschi

Il bianconero nel destino


Gli esordi all'Atletico Carrara, poi i due anni a Ponzano: Fausto Bigarani e Antonio Pepe raccontano il biondino che esultava come Montella


La gavetta a Crotone, l'esplosione in viola, la consacrazione in bianconero: è Federico Bernardeschi, cresciuto nel vivaio della Fiorentina e attuale calciatore della Juventus. Questa è la storia conosciuta del mancino più famoso di Carrara, arrivato giovanissimo - all'età di 10 anni - alla Fiorentina. Ma prima? Dove ha mosso i primi passi con gli scarpini ai piedi il giovane Federico? Ecco il racconto del viaggio tra Carrara e Ponzano con le parole di chi l'ha visto crescere. Tra l'altro, cercando nel nostro archivio storico abbiamo ritrovato il tabellino e la cronaca della finale della XXIV edizione della Coppa Toccafondi a Sesto Fiorentino (nella foto): trionfò il Ponzano di Bernardeschi e nel 5-2 allo Sporting Arno il giovane Federico segnò una doppietta.


I primi gol di Montellino


«Come non ricordarsi di Bernardeschi? Me lo ricordo eccome. Mia moglie lo chiamava Montellino perché dopo aver segnato un gol esultava facendo l'aeroplanino come Vincenzo Montella » racconta Fausto Bigarani, attuale presidente dell'Atletico Carrara, società in cui Bernardeschi ha mosso i primi passi da calciatore. All'epoca Bigarani non era a capo della società, «il presidente era Giovanni Frediani, io ero il custode dell'Atletico Carrara e un po' il tuttofare alla Fossa dei Leoni: la società è sempre stata una famiglia». Bernardeschi, che all'epoca aveva solo sei anni, stregò subito tutti: «Nel gruppo dei 1994 c'erano tanti giocatori bravi, ma lui spiccava su tutti, faceva tanti gol e aveva le potenzialità per fare bene. Era sempre il primo ad arrivare al campo. Ricordo che veniva dal mare, col pallone in mano e le infradito, suo babbo e sua mamma - due persone squisite - non riuscivano a togliergli il pallone. E quando giocava si illuminava: prendeva palla, saltava l'uomo e faceva gol. Il calcio era il suo mondo e negli anni è cresciuto tanto». Bigarani ci invia il primo cartellino di Bernardeschi e racconta con orgoglio gli anni all'Atletico Carrara: «Era già un passo avanti agli altri: arrivare in Serie A è sempre difficile, ma si poteva intuire che avrebbe potuto farcela». Grandi doti tecniche, ma non solo: «Federico era un bimbo di 6 anni molto educato e con tanta felicità negli occhi. Conosco bene i Bernardeschi, sono una bella famiglia; tra l'altro babbo Alberto è un mio amico» conclude.


Gli anni al Ponzano: «la Juve lo voleva già all'epoca»


Bernardeschi si fa notare e viene segnalato a Stefano Cappelletti, allora osservatore dell'Empoli. Il giovane Federico arriva così al Ponzano, scuola calcio della società azzurra. «Arrivò a inizio settembre» racconta Antonio Pepe, storico allenatore e dirigente del Ponzano. «All'epoca allenavo il gruppo del '93 insieme a Mario Bozzi, Bernardeschi ci colpì subito: faceva la differenza anche con i più grandi pur essendo un anno più piccolo. Mi ricordo che era giovedì e il sabato avevamo un'amichevole a Torino contro la Juventus con il gruppo 1993» prosegue Pepe «venne anche Bernardeschi e impressionò tutti: la Juve lo voleva già all'epoca, noi ovviamente dicemmo di no. Proprio in quella partita a Torino colpì la traversa con un tiro da 25-30 metri e sulla respinta facemmo gol: quella traversa trema ancora». Il primo anno giocò stabilmente con il gruppo 1993, «si allenava con tanta passione, tutte le settimane da Carrara veniva a Empoli due volte per gli allenamenti e il giorno della partita, mentre quando c'erano i tornei anche tutti i giorni. Ha fatto tanti sacrifici. L'anno dopo con il gruppo 1994 vinse tutto quello che c'era da vincere». Pepe indica in dribbling, velocità e rapidità di esecuzione le sue qualità tecniche migliori, oltre all'enorme capacità realizzativa. Ma non solo: «Federico anche di testa era più avanti: lavorava tanto ed era un bambino con la testa sulle spalle. Si divertiva a fare quello che sapeva fare, era un ragazzo d'oro: mai una cosa fuori posto, non faceva pesare il fatto di essere più bravo. Il suo ruolo? L'abbiamo fatto giocare in tutte le zone del campo, a volte negli allenamenti andava in porta per divertirsi. Il suo ruolo naturale comunque era esterno di fascia». Nei due anni al Ponzano Bernardeschi è cresciuto sotto la guida di Bozzi e Pepe - «gli ho sempre consigliato di giocare per divertirsi» - fino alla chiamata della Fiorentina. «In viola è cresciuto molto, ha avuto soltanto un infortunio negli anni della Primavera. Proprio in quegli anni sono andato a vederlo un paio di volte: faceva la differenza anche nel campionato Primavera. Ricordo in particolare un derby giocato a Monteboro tra Empoli e Fiorentina: finì 2-3 per i viola, lui fece doppietta e per l'Empoli segnarono Saccà e Tempesti, compagni di squadra di Federico a Ponzano. Bernardeschi finì la partita da difensore centrale, il segno che può giocare in quasi tutti i ruoli». Bernardeschi negli anni è rimasto legato al Ponzano, tanto che «quando era alla Fiorentina ci è venuto a trovare diverse volte, anche i genitori sono rimasti in contatto con noi. Quando andò alla Juve gli scrissi: 'Sei arrivato da dove hai cominciato'». Pepe ci racconta alcuni episodi legati a Bernardeschi, come quella volta che in un torneo a Fiumalbo il Ponzano doveva vincere con tantissimi gol di scarto per passare il turno: «Bernardeschi inizialmente non poteva venire, la domenica riuscì a raggiungerci e ci aiutò nell'impresa. Segnò tanto, non realizzò lui tutti lui i gol ma ci aiutò a vincere col numero di reti che ci servivano». O come quella volta che incantò in un torneo a Zambra: «Dette spettacolo con le sue giocate e realizzò tre reti. In generale era difficile che non segnasse e quando doveva battere le punizioni esclamavamo 'gol' ancora prima che il pallone entrasse in rete». Qualità, testa sulle spalle ma anche umorismo: «Ricordo che d'inverno veniva ad allenarsi con la maglia a mezze maniche e diceva: 'Vengo da Carrara, c'ho il marmo addosso'». «Porto sempre nel cuore tutti i ragazzi che ho allenato» conclude Pepe «Bernardeschi la fortuna se l'è saputa creare, meritava di arrivare. Noi lo abbiamo allenato, abbiamo contribuito al suo miglioramento e l'abbiamo fatto rimanere con i piedi per terra, ma i meriti sono tutti suoi».


Benedetta Ghelli


Foto Antonio Badalucco