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    L'ultimo trionfo del maestro, lo Sporting Arno di Rivi conquista la Cerbai

Il successo nella Cerbai fu l'acuto finale di un grande allenatore come Raffaello Rivi



Stagione 1998-'99. La storia della Coppa Cerbai, all'epoca appena iniziata e giunta soltanto alla sua seconda edizione, si incrocia in modo suggestivo e indissolubile con la parte finale della carriera di un grandissimo allenatore, uno di quelli che ha scritto pagine indelebili di storia del calcio fiorentino e non solo. Raffaello Rivi, in quella stagione, guidò l'allora formazione Allievi B classe '83 dello Sporting Arno fino alla vittoria in Coppa Cerbai: fu l'ultimo trofeo di un allenatore che sulla panchina della Cattolica Virtus e non solo aveva vinto quasi tutto e si era ritrovato fra le mani calciatori come Sandro Vignini, Andrea Barzagli e Paolo Rossi, e quella fu l'unica volta in cui il club di Badia a Settimo è riuscito a vincere questa coppa. Fu una finale con il botto e con la sorpresa, perché i rosanero nell'atto conclusivo la spuntarono contro il Margine Coperta che godeva - come spesso avveniva in quegli anni - dei proverbiali favori del pronostico. E, come scrisse il nostro direttore Alessio Facchini che commentò quella finale, il 12 giugno 1998 a vincere furono 'la grinta e il carattere' dei fiorentini: uno a uno alla conclusione dei tempi regolamentari, poi nei supplementari venne fuori la determinazione dei ragazzi di Rivi che chiusero sul tre a uno. Fra pochi giorni ricorrerà il diciassettesimo anniversario della scomparsa di Raffaello Rivi e suo figlio Alessandro conserva un ricordo sorprendentemente nitido di quella finale come di tutte le altre gare importanti che visse in panchina suo padre. Anche se in quell'occasione era assente per i primi impegni di lavoro affiancati all'università, Alessandro Rivi con memoria fotografica ci riporta al clima di quell'evento: 'Lo Sporting Arno allenato da mio padre chiuse il campionato al terzo posto dietro due corazzate come l'Impruneta di Gatti e soprattutto la Cattolica di Strano ma poi ingranò la marcia giusta in coppa presentandosi di slancio alla finale dopo aver battuto in semifinale il Cecina nel doppio confronto. Contro il Margine i favori erano tutti per l'avversario ma lo Sporting Arno si presentò a quella partita a Calenzano con una condizione fisica e mentale splendida; vinsero proprio sul piano dell'intensità, con una prestazione in crescendo culminata nei supplementari. Quella squadra - prosegue Alessandro - quell'anno negli Allievi B raggiunse un livello di rendimento altissimo, ogni cosa che toccavano quei ragazzi diventava oro e dopo la Cerbai arrivò anche il trionfo al prestigioso torneo Bianchi, a completamente di una stagione tutta in crescendo'. Il suo ricordo entra poi ancor più nello specifico - 'ricordo bene a memoria i nomi di quella squadra, che giocava con il classico 4-4-2 in cui il secondo difensore centrale giocava leggermente staccato rispetto al compagno: Pieri in porta, Parlatore e Villetti esterni di difesa assieme a Vannucci e Baldi, a centrocampo Spanu, in attacco Castagnoli e Venturini. Tutti calciatori che poi proseguirono la loro carriera in società importanti, anche nei professionisti come è il caso di Faiazza, Parlatore, Venturini e lo stesso Castagnoli. Fu l'ultimo trofeo di mio padre, che iniziava ad avere qualche anno: ha vinto molto, gli è mancato solo il titolo italiano' - Alessandro rievoca poi un gustoso aneddoto su quella finale - 'le squadre tornarono negli spogliatoi dopo il primo tempo sull'uno a zero per il Margine, mio padre non era contento dell'approccio iniziale e, per dare un segnale al giocatore e alla squadra, lasciò fuori dallo spogliatoio Jacopo Castagnoli per parlare al resto del gruppo: non stava mantenendo la giusta lucidità e mio padre ogni tanto sentiva la necessità di domarne il carattere focoso'. La mossa di mister Rivi si rivelò azzeccata: nel secondo tempo lo Sporting cambiò faccia e, dopo aver raggiunto il pari, superò alla distanza il forte Margine Coperta. A mettere il sigillo finale sulla vittoria coronando una prestazione di spessore fu proprio Castagnoli. La 'cura Rivi', aveva funzionato anche in quell'occasione.


Esponente di quella vecchia scuola di allenatori che ha insegnato calcio fino all'arrivo della nuova generazione di tecnici a fine anni novanta-inizio Duemila, Raffaello Rivi era - sono sempre le parole di suo figlio Alessandro - 'un sanguigno, un duro, con un carattere forte, quasi un sergente di ferro: apparteneva alla vecchia scuola, si ispirava a Trapattoni e Bersellini ma era intrigato dall'avvento di una figura di allenatore nuova come Ranieri. Curava la fase difensiva ma gli piaceva che le sue squadre sapessero anche attaccare e giocare a pallone. Il cambio generazionale avvenne con l'arrivo, proprio alla Cattolica Virtus, di allenatori come Vittorio Astolfo, che iniziarono a curare il possesso palla e altri concetti più ampi come l'alimentazione. Chi ha avuto mio padre come allenatore mi ha sempre detto che sul piano tecnico e tattico hanno avuto altri riferimenti, ma dal punto di vista della preparazione atletica e del rispetto delle regole di comportamento è stato un maestro'.


E in effetti chi ha avuto il privilegio di respirare l'atmosfera di quegli anni alla Cattolica Virtus ricorda bene che Raffaello Rivi incuteva rispetto e sprigionava carisma, uno di quei casi in cui autorità e autorevolezza - termini simili ma dal significato molto differente, spesso incompatibili fra loro - fanno rima e vanno a braccetto. Un ricordo personale, da bambino: quando passava lui a capo della sua squadra diretto al campo di allenamento non ci si metteva sugli attenti ma beh, se si stava facendo qualcosa di stupido di smetteva immediatamente di farlo. Seguiva le partite dalla panchina in giacca e cravatta: uno stile che ribadiva sempre l'importanza della forma, a fianco del contenuto.


Non è un caso che suo figlio Alessandro abbia intrapreso la sua stessa carriera, contagiato da quella passione che ha permeato l'aria familiare fin dall'infanzia. Una carriera che ha già fruttato i primi trofei, come dimostra il campionato regionale vinto al timone della formazione Juniores dell'Audace Legnaia. Ogni allenatore ha un maestro, ma che accade quando un possibile maestro siede a capotavola ogni sera? Come ci rapporta con un modello simile? Ecco la personale ricetta di Alessandro: ''quando ho mosso i primi passi da allenatore mio padre è stato una fonte di ispirazione per ovvi motivi, ma ben presto ho cercato di costruire il mio modo di allenare modulandolo in base alle mie inclinazioni e sulle esperienze che ho accumulato. Come quelle vissute con Attilio Sorbi, Fabrizio Tatini e soprattutto Riccardo Rocchini. Ho cercato di trarre il meglio da lui, ma alcuni aspetti che ho ritenuto poco vicini al mio pensiero, alcune delle cose che faceva e che non apprezzavo le ho depennate, non le ho mai assimilate'.


In fondo forse, questo è il modo migliore di agire in questi casi. L'ispirazione aperta a più fonti offre possibilità di crescita. L'imitazione, anche ammettendo che sia possibile completarla fino in fondo, non lascia spazio al mutamento che è alla base dell'evoluzione.